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giovedì 12 marzo 2020

Intervista di Gioia Locati al professor Stefano Petti

Un’intervista al professor Stefano Petti, epidemiologo al Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive della Sapienza di Roma, che ribalta le percezioni correnti sul Coronavirus.

Risultato immagini per Stefano Petti, epidemiologo
– Professore quanto si sta diffondendo il SARS-CoV-2?
All’8 marzo l’incidenza (il numero di casi) in Italia è 6 x 100.000, in Corea è 14 x 100.000 (dati Korea Centers for Disease Control), oltre il doppio che da noi. Tuttavia, più un virus si diffonde, più si adatta all’uomo e diventa meno pericoloso. Infatti, più alta è l’incidenza, minore è la pericolosità, si è visto anche in Cina: il 5 febbraio, il momento in cui la diffusione del virus era massima, la pericolosità era ai minimi. Lo stesso sta avvenendo in Corea dove la letalità è eccezionalmente bassa, muoiono solo 7 malati ogni mille”.
– Cos’è la letalità?
Indica il numero dei decessi in rapporto ai malati, viene spesso erroneamente chiamata mortalità, che è invece il numero dei morti rispetto alla popolazione generale (all’8 marzo la mortalità da COVID-19 in Italia è di una persona ogni centomila, una probabilità minima se pensiamo che la mortalità per influenza – solo un terzo controllabile tramite vaccinazione – è ben 13.3 per centomila. È quattro volte più probabile che si muoia scivolando mentre si cammina, ma questo fatto non ci impedisce di camminare tutti i giorni della nostra vita). Come detto, la letalità è più alta quando il virus si diffonde poco. In Corea la letalità è ora allo 0,7%, ma raggiunge il 6% tra gli over 80, da noi è quasi al 5% ma arriva al 10,9% tra gli over 80(Comunicato Stampa ISS 16/2020, 6 marzo 2020)”.

– Vuol dire che il coronavirus da noi è più pericoloso?
Esatto. Lo è però per le persone più deboli: l’età media dei pazienti deceduti per il COVID-19 in Italia è di 81 anni e in più di due terzi dei casi gli ammalati hanno tre o più malattie preesistenti (Comunicato Stampa ISS 15/2020, 5 marzo 2020). Da quanto detto, e paradossalmente, se e quando il virus circolerà di più, sarà meno pericoloso”.
– L’incidenza è bassa ma la percezione è, al contrario, che si tratti di un virus che stia dilagando a macchia d’olio.
Ha detto bene, è la percezione. Da noi si sta facendo una sorveglianza attiva del nuovo coronavirus. La sorveglianza attiva aumenta di molto il numero dei casi rilevati (Vogt et al, 1983; Viner et al, 2014). Ad esempio, in Italia, con la sorveglianza speciale del morbillo, i casi notificati sono addirittura quadruplicati da un anno all’altro (Fonte: Istituto Superiore di Sanità, https://www.epicentro.iss.it/morbillo/epidemiologia-italia). In sostanza, stiamo contando tutte le persone infettate, incluse quelle che manifestano pochi sintomi: sono migliaia di casi che non verrebbero rilevati con la sorveglianza convenzionale perché solamente pochi di questi sarebbero andati dal medico o in ospedale per avere la diagnosi. Rispetto all’influenza e alle altre malattie respiratorie importanti, l’incidenza del COVID-19 è misurata in modo molto più analitico. Nonostante questo, alla data dell’8 marzo si sono registrati quasi 8000 soggetti positivi al nuovo coronavirus, i casi di simil-influenza e di infezione respiratoria acuta in sole otto settimane sono stati oltre 5.000.000 (https://www.agi.it/fact-checking/news/2020-02-26/coronavirus-influenza-stagionale-7231278/).
Le cifre parlano da sole. Ma c’è di più, perché questa differenza nel tipo di sorveglianza esiste anche tra l’Italia e la massima parte degli altri Paesi, e rende i nostri dati di incidenza artificialmente più alti.In Francia, Spagna, Germania, Regno Unito, Stati Uniti e in altri Paesi europei, per avere il tampone naso-faringeo, che porta all’eventuale diagnosi di infezione da SARS-CoV-2, il paziente deve avere sintomi e deve essere stato in contatto con un malato di COVID-19 (https://www.corriere.it/esteri/20_marzo_07/coronavirus-cosa-succede-europa-contagi-vittime-misure-dossier-francia-germania-altri-paesi-7a53413c-5fd7-11ea-96d2-d1c7db9c0ec3.shtml).
Risultato immagini per misure restrittive coronavirusAl contrario, da noi qualsiasi persona che presenti anche un solo sintomo di infezione respiratoria, può essere sottoposto al tampone a discrezione del medico. È naturale che in questa maniera gli altri Paesi osservano solo la punta dell’iceberg dei casi di infezione, mentre l’Italia andando più in profondità nella ricerca del virus si ritrova con un numero di casi molto maggiore“.
– La malattia si chiama COVID-19 ed è una polmonite?
“Sì. In Lombardia nel 2017 ci sono stati 2.537 morti per polmonite, la mortalità è stata di 25,27×100.000. Il 94% delle polmoniti mortali è attribuita ai quattro coronavirus umani, il virus sinciziale respiratorio, il mycoplasma pneumoniae, lo pneumocco, lo stafilococco aureo, i virus parainfluenzali, i virus influenzali, sia quelli presenti, sia quelli non presenti (la maggioranza) nei vaccini. (Fonte: Istat). Perché non si è mai sentito parlare di prevenzione dello stafilococco o del mycoplasma?
– Però si è parlato del ‘fattore riproduttivo R0’, si è detto che è alto e che per questo occorre stare in isolamento.
Il fattore R0 indica quante persone sono contagiate da un malato. Quando un virus si è adattato all’uomo ha un R0 superiore a 1, significa che ogni malato infetta più di una persona (e si procede così fino a quando non ci sono più persone da infettare). Il nuovo coronavirus ha un R0 di 0,4 significa che all’interno di un nucleo ristretto vi è un infettato ogni 4 contatti. Cosa vuol dire? Che al momento stiamo osservando un virus ancora opportunista come i virus che provengono da animali e che hanno un R0 prossimo allo 0. Significa che il nuovo coronavirus si sta diffondendo meno del previsto,anche se non si può escludere che successive mutazioni possano provocare un suo maggiore adattamento alla specie umana“.
– Quanto sono utili l’isolamento delle persone e la chiusura dei luoghi pubblici?
Le misure restrittive basate su quarantena e isolamento non sono servite, lo stiamo vedendo. Sono state decise in base a un presupposto a-scientifico, la presunzione di sapere prima chi è contagioso e chi non lo è. Se avessero funzionato avremmo osservato una riduzione dei casi, a partire dal tempo di incubazione della malattia (pari a 2-14 giorni). Il decreto che promulgava le misure restrittive risale al 21 febbraio (Comunicati numero 85 e 87), se la quarantena avesse funzionato il numero di casi sarebbe dovuto diminuire già due giorni dopo, il 23 febbraio, e comunque non oltre i quattordici giorni cioè il 6 marzo, invece il 7 e l’8 marzo si sono registrati oltre 1000 casi al giorno, il massimo finora.

Durante la conferenza stampa del 7 marzo, si è anche detto che le misure restrittive hanno funzionato nella zona dell’epicentro e sono quindi state estese ad altre zone per arginare la diffusione del virus. Allora occorre chiedersi: Come è arrivata l’infezione al di fuori dall’epicentro e in tutta Italia se le misure hanno funzionato nella zona dell’epicentro? Sono forse sfuggiti i soggetti contagiosi ma asintomatici a loro volta contagiati da altre persone asintomatiche? Da quanto detto si può affermare che se il SARS-CoV-2 da noi si è diffuso poco finora, lo è stato per effetto delle caratteristiche ancora poco ‘umane’ del virus e non per effetto di queste drastiche misure di contenimento“.
– La raccomandazione di restare isolati il più possibile per evitare di diventare veicolo del virus e trasmetterlo a immunodepressi e anziani ha un senso?
Purtroppo gli immunodepressi hanno problemi con tutte le infezioni. Molti decessi attribuiti al COVID-19, per esempio, si sono verificati in pazienti che stavano facendo chemioterapia. Forse pochi sanno che il 20% dei decessi in queste persone è dovuto a infezioni di tutti i tipi, virus, batteri, funghi, ecc. (O’Brien et al., 2006). Il nuovo coronavirus era il virus che circolava in quel momento e i pazienti in chemioterapia si sono infettati con quello, ma sarebbero purtroppo deceduti comunque a causa di un qualsiasi altro microrganismo circolante”.
– Però pare che i reparti di terapia intensiva siano sovraffollati.
Ma è sempre così! Capisco che chi non frequenta ospedali non lo sappia. Purtroppo in Italia siamo al quintultimo posto in Europa per numero di posti letto di terapia intensiva (https://www.agi.it/fact-checking/news/2020-03-06/coronavirus-posti-letto-ospedali-7343251/). Siamo sempre in emergenza e non da oggi. Ad esempio due anni fa: le terapie intensive erano al collasso per influenze e polmoniti(https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/18_gennaio_10/milano-terapie-intensive-collasso-l-influenza-gia-48-malati-gravi-molte-operazioni-rinviate-c9dc43a6-f5d1-11e7-9b06-fe054c3be5b2_amp.html).
– Cosa fare per prevenire?
“Non tutti si infettano. Per ammalarsi occorre un’esposizione prolungata alla fonte dell’infezione e una certa suscettibilità. Se fossimo tutti suscettibili ci ammaleremmo in massa ma di una forma leggera. A questo punto sarebbe utile che tutta la popolazione italiana adottasse le seguenti misure: arieggiare gli spazi chiusi, scuole, ospedali (ove è spesso impossibile il ricambio d’aria), alberghi, e farlo diverse volte nell’arco della giornata per diluire la carica infettiva dei droplet, le goccioline di saliva che si emettono parlando. Limitare la permanenza nei luoghi umidi, come gli ospedali e le case di riposo.
Non ho mai visto un decreto così restrittivo come quello dell’8 marzo (e di quelli seguenti…). Forse così facendo abbiamo la presunzione di eliminare questo nuovo coronavirus per sempre, oppure di tenerlo a bada fino a che un vaccino efficace e sicuro al 100% sarà disponibile per tutti. Nonostante ciò, non sono state considerate proprio le situazioni a maggior rischio di trasmissione, cioè la trasmissione intrafamiliare: si chiede agli anziani di non uscire di casa e contemporaneamente si impone ai bambini e ai giovani di non andare a scuola. Vi è poi la trasmissione in ospedali e case di cura e di riposo, dove sarebbero necessari degli interventi architettonici o strutturali per impedire la trasmissione tramite droplet“.
Ringrazio il professor Petti delle spiegazioni accurate.
Per completare l’aggiornamento analizziamo anche questi punti:
– Chiusura delle scuole. La chiusura delle scuole è stata decisa dal governo a partire dal 24 febbraio nonostante l’ECDC, il Consiglio europeo per la prevenzione delle malattie, abbia messo per iscritto il 10 febbraio che “non ci sono dati che possano in qualche modo suggerire che la chiusura proattiva delle scuole possa risultare di qualche efficacia nell’attenuazione dell’epidemia di 2019- nCov”. Ma sulle questioni di salute non doveva parlare la scienza?
– Come un’influenza. Alle voci, poco ascoltate, che da noi hanno invitato a non fare allarmismo, dall’epidemiologo Leopoldo Salmaso (https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-sciacalli_panico_e_virus_litalia_sta_dando_i_numeri_intervista_allepidemiologo_leopoldo_salmaso/5496_33231/), all’infettivologo del San Martino, Matteo Bassetti (https://www.ivg.it/2020/02/linfettivologo-bassetti-non-si-muore-di-coronavirus-basta-allarmismi/) si è aggiunto l’autorevole direttore dei CDC Robert Redfield, che assieme al direttore dell’NIH (National Institute of Health), Anthony Fauci, ha scritto quanto segue sul The New England Journal of Medicine: Se si presume che il numero di casi asintomatici o minimamente sintomatici sia più volte superiore al numero di casi segnalati, il tasso di mortalità può essere considerevolmente inferiore all’1%. Ciò suggerisce che le conseguenze cliniche generali del COVID-19 potrebbero in definitiva essere più simili a quelle di una grave influenza stagionale (che ha un tasso di letalità di circa lo 0,1%) o di un’influenza pandemica (simile a quelle del 1957 e del 1968) piuttosto che una malattia simile alla SARS o alla MERS, che hanno avuto tassi di letalità tra il 9 e il 10% e il 36%”.
– Qui invece trovate la lettera che il professor Giulio Tarro ha inviato ai genitori (https://www.onb.it/2020/03/05/coronavirus-le-delucidazione-del-prof-tarro-in-una-lettera-indirizzata-ai-genitori/)
Intervista di Gioia Locati al professor Stefano Petti

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