Liberi di obbedire
Dopo quasi cent’anni di
democrazia, finalmente ci siamo accorti che alla maggioranza delle
persone non importa affatto essere libera. Anzi, quel che desiderano è
esattamente il contrario.
Desiderano che qualcuno
gli dica che cosa fare e come farlo. E che obblighi chiunque a farlo.
Desiderano che qualcuno gli venga presentato come “esperto” per potergli
ubbidire sentendo di stare facendo “la cosa giusta”. E istintivamente
indirizzano le proprie frustrazioni ed angosce contro chiunque non si
allinei, contro chiunque dissenta o metta in discussione gli ordini
dell’esperto cui essi vogliono obbedire.
Poco importa se
l’esperto non ne sappia in effetti più di loro: la sua funzione non è
realmente quella di aiutare ad analizzare, affrontare o persino
risolvere un problema, bensì soltanto quella di scrollare di dosso alla
massa la responsabilità di decidere. Fornire ai molti l’alibi per
ubbidire, sentendosi anche tanto, tanto intelligenti. E soprattutto,
sentendosi “liberi”.
Troppo impegnativo
Il motivo è semplice:
decidere da soli è impegnativo. Significa doversi informare seriamente,
significa pesare con attenzione le informazioni ricevute. Significa
prendersi la responsabilità delle scelte che si fanno. Significa
accettare anche la possibilità di sbagliarsi. Troppa fatica, troppo
rischio. Ubbidire invece offre ottime condizioni: se sbagli, stavi
facendo quel che ti han detto loro, “gli esperti”, mica lo hai deciso
tu. Niente di nuovo qui: “ubbidivo solo agli ordini” era la difesa
standard, a Norimberga.
E questa necessità di obbedire, questa codardia esistenziale di fondo, è il terreno su cui prende piede oggi il nuovo modello di società autoritaria.
Una società autoritaria non più centrata sulla imposizione diretta di
una ideologia e sulla brutale repressione del dissenso, come è stato per
i totalitarismi del secolo scorso, bensì su un patto implicito: quello
tra i pochi che si trovano nella posizione di comandare e dei moltissimi
che desiderano, a tutti gli effetti, obbedire. Il patto prevede che
questa obbedienza non sia imposta con la forza ma “consigliata”,
indirizzata, presentata insomma in modo dolce e appetitoso, come “la
cosa giusta da fare per il bene di tutti”. Comandami,
ma senza urlare. Dammi l’impressione che sia io stesso a scegliere di
obbedire, mentre obbedisco. E premiami: loda la mia intelligenza
nell’obbedire, dammi modo di vantarmi di essa ripetendo all’infinito le
tue spiegazioni come fossero pensieri miei. Fammi sentire “dalla parte
giusta” fornendomi dei ribelli, dei dissenzienti da odiare, da
disprezzare, da condannare pubblicamente – cosi che mi possa sentire
migliore di loro.
Ecco come qualcuno oggi
riesca in modo schizofrenico ad indignarsi alla vista di una bandiera
con la svastica e al tempo stesso ad applaudire con un sonoro “era anche ora!” la sospensione a tempo indeterminato dei propri Diritti Costituzionali.
Mica come il nonno
Cent’anni di democrazia
hanno insegnato alle popolazioni che la democrazia è una vera fregatura.
Informarsi, decidere, votare? Giudicare chi ci governa e in seguito
dover persino ammettere di aver sbagliato a fare queste valutazioni?
Troppa fatica. Finalmente la massa ha capito quel che davvero vuole: non
solo poter stare seduta sul divano a guardare Netflix, ma esservi
proprio obbligata. Ringraziando anche che sia questo l’obbligo che
subiscono, e non quello di andare in guerra, come accaduto ai loro
nonni. Completamente dimentichi che i loro nonni hanno combattuto quelle
guerre perché loro oggi potessero essere liberi. Completamente
dimentichi che la libertà non consiste nel fare questa o quella cosa, ma
nel decidere davvero cosa fare.
Stefano Re
Stefano Re
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