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domenica 29 marzo 2020

Liberi di obbedire

Dopo quasi cent’anni di democrazia, finalmente ci siamo accorti che alla maggioranza delle persone non importa affatto essere libera. Anzi, quel che desiderano è esattamente il contrario.
Desiderano che qualcuno gli dica che cosa fare e come farlo. E che obblighi chiunque a farlo. Desiderano che qualcuno gli venga presentato come “esperto” per potergli ubbidire sentendo di stare facendo “la cosa giusta”. E istintivamente indirizzano le proprie frustrazioni ed angosce contro chiunque non si allinei, contro chiunque dissenta o metta in discussione gli ordini dell’esperto cui essi vogliono obbedire.
Poco importa se l’esperto non ne sappia in effetti più di loro: la sua funzione non è realmente quella di aiutare ad analizzare, affrontare o persino risolvere un problema, bensì soltanto quella di scrollare di dosso alla massa la responsabilità di decidere. Fornire ai molti l’alibi per ubbidire, sentendosi anche tanto, tanto intelligenti. E soprattutto, sentendosi “liberi”.
Troppo impegnativo
Il motivo è semplice: decidere da soli è impegnativo. Significa doversi informare seriamente, significa pesare con attenzione le informazioni ricevute. Significa prendersi la responsabilità delle scelte che si fanno. Significa accettare anche la possibilità di sbagliarsi. Troppa fatica, troppo rischio. Ubbidire invece offre ottime condizioni: se sbagli, stavi facendo quel che ti han detto loro, “gli esperti”, mica lo hai deciso tu. Niente di nuovo qui: “ubbidivo solo agli ordini” era la difesa standard, a Norimberga.
E questa necessità di obbedire, questa codardia esistenziale di fondo, è il terreno su cui prende piede oggi il nuovo modello di società autoritaria. Una società autoritaria non più centrata sulla imposizione diretta di una ideologia e sulla brutale repressione del dissenso, come è stato per i totalitarismi del secolo scorso, bensì su un patto implicito: quello tra i pochi che si trovano nella posizione di comandare e dei moltissimi che desiderano, a tutti gli effetti, obbedire. Il patto prevede che questa obbedienza non sia imposta con la forza ma “consigliata”, indirizzata, presentata insomma in modo dolce e appetitoso, come “la cosa giusta da fare per il bene di tutti”. Comandami, ma senza urlare. Dammi l’impressione che sia io stesso a scegliere di obbedire, mentre obbedisco. E premiami: loda la mia intelligenza nell’obbedire, dammi modo di vantarmi di essa ripetendo all’infinito le tue spiegazioni come fossero pensieri miei. Fammi sentire “dalla parte giusta” fornendomi dei ribelli, dei dissenzienti da odiare, da disprezzare, da condannare pubblicamente – cosi che mi possa sentire migliore di loro.
Ecco come qualcuno oggi riesca in modo schizofrenico ad indignarsi alla vista di una bandiera con la svastica e al tempo stesso ad applaudire con un sonoro “era anche ora!” la sospensione a tempo indeterminato dei propri Diritti Costituzionali.
Mica come il nonno
Cent’anni di democrazia hanno insegnato alle popolazioni che la democrazia è una vera fregatura. Informarsi, decidere, votare? Giudicare chi ci governa e in seguito dover persino ammettere di aver sbagliato a fare queste valutazioni? Troppa fatica. Finalmente la massa ha capito quel che davvero vuole: non solo poter stare seduta sul divano a guardare Netflix, ma esservi proprio obbligata. Ringraziando anche che sia questo l’obbligo che subiscono, e non quello di andare in guerra, come accaduto ai loro nonni. Completamente dimentichi che i loro nonni hanno combattuto quelle guerre perché loro oggi potessero essere liberi. Completamente dimentichi che la libertà non consiste nel fare questa o quella cosa, ma nel decidere davvero cosa fare.

Stefano Re

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