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mercoledì 31 ottobre 2018

la “CHIESA” E’ SOTTO OCCUPAZIONE DEL GOLPE SODOMITA. TUTTO QUI.

(riprendo volentieri, dall’amico “Nuke the Whales”,   notizie che, senza essermi sfuggite, non ho riportato: non  mi occupo più di chiesa, perché ormai è chiaro che la sua più alta gerarchia  è in piena e sfrenata apostasia  al servizio di Satana)

Meanwhile in Austria. (angolo Blondet)

Dedicato al mio amico Blondet, che spero sappia apprezzare. La diocesi cattolica austriaca, nota per una sua particolare interpretazione dei valori cattolici , e pertanto amatissima dal papa (con la minuscola) Bergoglio, ci delizia con le sue ultime realizzazioni.
Wilhelm Krautwaschl, vescovo di Graz, qui lo vediamo sfilare durante una presentazione di abiti talari lo scorso anno, premia una foto.
Intenzione blasfema più che evidente: Cristo transgender.
“Occidente incontra Oriente – Angelo custode bacia Sfinge” è il titolo dell’opera Esposta in questi giorni nel presbiterio della cattedrale di Vienna. Prima premiata dall’arcivescovo di Gratz ed esposta per un mese davanti alla basilica locale.
Questa invece, esposta senza la pecetta, è “Pietà, la prima luce nella tomba di pietra: un essere umano!“, sempre esposta nel presbiterio della cattedrale di Vienna proprio in questi giorni (4).
Sento il Buonismo del cazzo che prorompe forte da queste foto, purtroppo i valori europei, espressi da un ragazzino quattordicenne sodomizzato da un cardinale progressista, non possono essere ancora rappresentati nelle chiese. Sento che manca poco”
Fin qui Nuke.  Al  quale  posso fornire ulteriori informazioni che a lui, non particolarmente attento  alle “novità” vaticane, possono essere sfuggite.

Direttore Caritas a letto coi profughi_ “Fatemi godere” _ Vøx

Questa è del 2017 :
“La corte d’appello di Palermo ha confermato la condanna a 9 anni di reclusione per il direttore della Caritas di Trapani, don Sergio Librizzi, accusato di concussione e violenza sessuale.
Librizzi, arrestato nel giugno 2014, nella qualità di membro del comitato per il riconoscimento dello status di rifugiato politico, aveva preteso prestazioni sessuali in cambio del permessino di soggiorno umanitario. Dalle indagini sono emersi almeno 8 casi. Emersi. Almeno….

Non c’è più la vita eterna. Ecco la neolingua del Sinodo

Inferno e Paradiso assenti. E così anche diavolo, Credo, giudizio e condanna eterna o martirio. Ma anche droga e aborto sono relegati in passaggi generici e riduttivi. E così per il Santo Rosario e la Messa, della quale viene tralasciato l’aspetto sacrificale, mentre si parla di santità, ma non viene mai preso a modello nessuno dei tantissimi santi giovani. Quante parole del lessico cristiano cancellate dalla neo lingua del Sinodo. Però abbondano discernimento e accompagnamento. Le ragioni di un impoverimento che non si rivela solo linguistico, ma di una proposta cristiana credibile.
– LGBT O NO, L’OMOSESSUALISMO AVANZAdi Riccardo Cascioli
Quanto sopra viene dal periodico cattolico online La Nuova Bussola Quotidiana.
Un altro:
“Un  vescovo tedesco fa la  promozione della  propaganda omosessuale”
L’archevêque Stefan Hesse de Hambourga déclaré le 24 octobre qu’une “dévaluation” de l’homosexualité [pratiquée] est “insatisfaisante” [l’homosexualité pratiquée est un péché mortel].
Hesse veut que l’homosexualité soit “reclassifiée théologiquement” [acceptée]. Il a appelé à une “approche plus ouverte [sans critique]” envers ce péché mortel. Selon Hesse, il existe un “nombre considérable” de prêtres homosexuels dans l’Église.

Cupich: “No es nuestra política negar la comunión a los ‘matrimonios’ gays”

En una entrevista concedida a una televisión local, el cardenal Blase Cupich, Arzobispo de Chicago, ha declarado que no es “política” de su diócesis negar la comunión a los miembros de una pareja homosexual casada según la ley civil.

Prostituti a Villa Pamphili, tra i fermati anche un seminarista

E ancora:

“Funzione” senza Messa a Pinerolo con il pastore valdese: “valida per il precetto festivo”. L’abominio della desolazione?


Infine consiglio all’amico “Nuke” la lettura di questo articolo, che spiega tutto.

  IL FILO ROSSO CHE LEGA SODOMIA ED ERESIA NELLA SETTA CONCILIARE

Anni fa un confratello mi riferì un episodio sconcertante, secondo il quale un Officiale di Curia notoriamente omosessuale era stato sottoposto a degli esorcismi perché aveva preso l’abitudine, durante i suoi immondi festini, di bestemmiare il nome di Dio, cosa che aveva dato luogo a fenomeni di possessione diabolica. L’empio monsignore morì di lì a poco di un male incurabile, compianto dai suoi sodali. A quell’epoca le checche del Vaticano si muovevano ancora con prudenza, non perché non fossero numerose, ma perché vigeva quel tacito accordo che nell’esercito americano è compendiato dall’adagio Don’t ask, don’t tell, ossia Non chiedere, non dire. Anche se poi in molti sapevano chi aveva quel penchant e chi no. Monsignori che uscivano in borghese nottetempo dal Laterano, indossando jeans e giubbotto di pelle, e che l’indomani affiancavano il Santo Padre ai pontificali. Preti che si allontanavano dalla canonica per far volta ai calidari. Studenti di Atenei Pontifici che andavano a passeggiare a Villa Giulia. Seminaristi dediti ad un opinabile apostolato vespertino a Monte Caprino. Era la generazione del Concilio, che alla veste talare preferiva gli abiti firmati e gli occhiali da sole. Vanesi e fatui, inclini alla risatina isterica e ad apostrofarsi con pronomi e nomignoli femminili, ma pur sempre guardinghi, perché sul soglio sedeva il virile Wojtyla. Il quale era talmente intento a propagandar l’ecumenismo di Assisi da non accorgersi che proprio al suo fianco c’erano personaggi noti col nome di battaglia di Jessica.
I vizi, allora, li chiamavano vizietti, come se il diminutivo potesse rendere meno riprovevole la condotta di chi li praticava. Ed era un vizietto forse anche quello del mai abbastanza esecrato Montini, con i suoi modi da calvinista, i trascorsi ambrosiani che molti non han mai voluto approfondire e che pure gli meritarono accuse nemmen troppo velate. Certo è che su quel pontificato – e sulla congerie di Presuli che sotto di esso assursero ai più alti gradi della Gerarchia – grava ancor oggi, anzi oggi ancor più di ieri, l’ombra sinistra del ricatto, al punto da lasciar supporre che molte decisioni d’allora trovassero giustificazione solo nel terrore che qualche burattinaio potesse decidere di lasciar trapelare scabrosi dettagli sul conto del sodomita di Concesio. Il quale, non a caso, tra pochi giorni verrà elevato agli onori degli altari, in riconoscimento del suo contributo all’opera di devastazione della Chiesa e quale devoto tributo dei suoi beneficiati.
Fu alla fine del papato wojtyliano che gli immondi seguaci di Sodoma trovaron coraggio di serrare i ranghi, raccogliendo intorno a sé una schiera di zelatori del tempio di simile natura, sicché potemmo vedere il povero Papa polacco conciato con paramenti circensi, o costretto ad assistere a grottesche performances di saltimbachi seminudi coram Pontifice, e di selvaggi in apparecchio adamiticocoram Sanctissimo. L’autore di quegli scempi ancor oggi imperversa nei Sacri Palazzi, ancorché prossimo al sacello, col suo codazzo di questuanti che il tempo ha trasformato da naiadi in clergyman in vecchi rancorosi. Ma mentre Giovanni Paolo II si andava spegnendo, in Vaticano la falange sodomitica levava il capo, non senza scandali e scandaletti al limite del ridicolo: ecco allora il segretario dell’Eminentissimo, per gli intimi Carmen, colto in flagrante nei gabinetti a Termini e frettolosamente spedito in partibus, il canonico con la manomorta fermato sul 62, il chierico che batte in San Pietro importunando i turisti, il prete al cinema porno, il frate ammazzato nei giardinetti da un prostituto e via enumerando.
Sono  tutti testi scritti da cattolici e su siti cattolici, caro amico.
Da  cui si  vede che siamo informati.  E’ ormai chiaro che la Chiesa è sotto occupazione dei culattoni, che tripudiano sfrenati come è loro costume, sporcando ogni giorno di più  il Cristo, sputando sull’Eucarestia, dando scandali inauditi  ai seminaristi e ai fedeli  e – purtroppo – perseguitando preti e suore che restano credenti. E’ ovvio che questa ghenga di sodomiti e viziosi non crede più all’anima immortale, al  premio e al castigo eterno, e  invece di darsi ai mestieri  tipici che sono aperti alla categoria dei finocchi  – parrucchiere  per signora, stilista, attore comico, spacciatore e prostituto –  trova più comodo ammantarsi da “cardinale”, da “vescovo”, da “papa” ed altre mascherature carnevalesche, perché pure stipendiate.
E’ ovvio come questi siano servi di Satana, a cui si sono consegnati. I cardinali e i vescovi che hanno abbandonato lo sforzo  verso la santità personale – o almeno la decenza –  sono il frutto estremo (nel senso di estremista e, insieme,  di terminale) del Concilio e del suo “spirito”, che Giovanni XXIII  così distillò in un suo discorso  d’apertura:  “Oggi la Chiesa vuole adoperare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore».  Lo fece passare come una “carità” verso l’uomo moderno.  Ma oggi è chiaro che l’altroclero ha usato “l’arma della misericordia” sopratutto verso di sé, abbandonando ogni “rigore”.  Mezzo secolo di manica larga morale e di eresie  interne non combattute hanno portato a questo. Ed anche peggio.
Tutto ciò che ancora vi manca a questa cronaca della nefandezza di anime  che si sono date a Satana, potete leggerlo nel saggio appena uscito delle  Edizioni Radio Spada.
Cosa Vostra – Dalla Pro Deo alla “mafia di San Gallo” – gli “affari riservati” della “chiesa della misericordia”.
Anche se ne suggerisco la lettura, lo faccio aggiungendo un cosiglio non richiesto: cercate, da credenti, di non farvi ossessionare dalla crisi di questa “chiesa di satana”, non fatela diventare un’idea fissa. Distogliete da loro il pensiero, come lo si distoglie dalla pornografia e dai viziosi.
Voltate loro le spalle e pensate a salvare l’anima voi. Del resto era scritto:

E’  scritto persino nel Catechismo conciliare:
Tranquilli, sereni e forti.

Falsi Guru E Presunti Maestri Spirituali: Ciechi Che Guidano Altri Ciechi

Molte persone sono preda di falsi guru e presunti Maestri di vita, individui loschi camuffati da santoni spirituali, che si ritengono illuminati, ma in verità si tratta soltanto di ciechi che guidano altri ciechi, con il rischio reale di finire tutti insieme in fondo al burrone. Ecco perché bisogna prestare molta attenzione a questi soggetti che stanno letteralmente spopolando, soprattutto con l’arrivo dell’era digitale. Non che prima non ci fossero, ma oggi il fenomeno è in forte ascesa. E riconoscerli non è poi così difficile.

Prima, però, voglio fare una piccola e doverosa premessa: esistono dei guru veri e dei Maestri spirituali eccezionali. E si riconoscono principalmente per il loro esempio di vita. Più che dalle parole. Purtroppo però, per ogni vero Maestro, ne esistono altri cento presunti tali, falsi, a volte sinceri ma ingenui, non adatti a ricoprire questo ruolo di fondamentale importanza.

Ma perché c’è tutto questo proliferare di falsi guru e presunti Maestri spirituali? La risposta è sotto gli occhi di tutti. La nostra società, ormai sempre più tecnologica e connessa, paradossalmente, produce individui sempre più disconnessi dalla vita reale, persone stressate, assuefatte da bisogni artificiali e in costante ricerca di qualcosa o qualcuno in grado di tirarli fuori da questo stato di allucinazione. Nascono così le dipendenze, verso i psicofarmaci, le droghe leggere e quelle pesanti, cresce il desiderio di qualcosa che possa stravolgere la loro vita e che le faccia sentire libere e complete.

I falsi guru a tal proposito fanno leva proprio su queste emozioni, accendendo il desiderio di illuminazione o semplicemente di pace, serenità e benessere, spingendo così le persone a credere alle loro parole e ai loro poteri. E presunti Maestri spirituali che, come dei lupi travestiti da agnellini, mascherano bene il loro vero volto per raggiungere il loro scopo di fama, notorietà, successo e denaro. E credetemi, in giro ci sono migliaia di persone che credendo a questi impostori e ad ogni loro minima parola, sprofondando sempre più nell’ignoranza e nell’illusione, non giungendo mai a quell’espansione di coscienza o di mente illuminata tanto ricercata.

Quindi come riconoscere i falsi guri e i presunti Maestri spirituali? Gli indizi ci sono, visto che si tratta spesso di ottimi oratori: tante parole ma poca sostanza. Usano soavemente una terminologia fantasiosa, nebulosa e fastidiosamente New Age. Discorsi che restano in superficie, come fossero un anestetico, le solite ripetizioni, le solite frasi per sentito dire, addirittura con le stesse identiche parole che, se investigate e ragionate per qualche minuto, non vogliono dire assolutamente nulla.

Adottano un linguaggio che serve a far esaltare e illudere le persone insoddisfatte della loro vita. Ma si tratta solo di frasi ad effetto che non portano a nulla di pratico. Attenzione dunque a slogan stimolanti ma poco chiari, al tutto è amore, al siamo esseri di luce, all’angelo custode che protegge il vostro cammino, al tutto è Uno. Maestri chi vi promettono il Cielo quando poi nel pratico, il semplice stare in equilibrio sulla Terra gli risulta complicato. Diffidate.

Così come conviene diffidare da chi si presenta con un continuo sorridere e l’utilizzo di un’impostata vocetta calma e suadente, o anche conosciuta come voce da classico personaggio “spirituale”. Questo si chiama “recitazione” ed è chiaramente indice di un fine non nobile, bensì manipolatore. Basta vedere un po’ di video sul web, di presunti maestri per l’appunto, per notare come tutti o quasi adottino un’impostazione simile. Del resto, se una persona vive in uno stato di calma e serenità, ed è realmente felice della propria situazione, difficilmente necessita di esternarlo forzatamente, modulando voce e sorriso. Per smascherarli, quindi, basta soltanto aumentare di un gradino la propria capacità di osservazione per riconoscere i falsi sorrisetti e l’impostazione vocale modificata. Meglio chi si presenta in tutta la sua spontaneità.

I falsi guru li riconosci anche dallo stato mentale e dalle scelte dei loro discepoli, dato che i falsi guru attirano a sé, inevitabilmente, i falsi ricercatori. Spesso manipolano l’insegnamento dei veri Maestri spirituali che sono apparsi su questo pianeta, prendendo alcune parti del loro insegnamento, e le mescolano con delle palesi assurdità. In questo modo producono la classica polpetta avvelenata, dove mescolando il vero con il falso, si fa in modo che tutto divenga falso. Ovviamente questo prendere spunto e affiliarsi ad un nome di un maestro prestigioso, permette a questi ciarlatani di apparire come persone preparate ed ottenere così notevole credibilità.

Un altro campanello d’allarme dovrebbe scattare quando si tende a celebrare la spiritualità in stile fast food. Perché quando mescoli la spiritualità con una cultura che celebra la velocità, il multitasking e la gratificazione istintiva, il risultato è molto simile ad una spiritualità fast food. La crescita spirituale non può essere ottenuta con un corso lampo durante il weekend! E tantomeno saranno i vari attestati ottenuti a rendervi delle persone spirituali e quindi risolute verso il benessere interiore.

Mai come oggi, infatti, assistiamo all’exploit di presunti Maestri e falsi guru identificabili in: operatori di luce, contattisti, canalizzatori, gente che attiva corpi di luce o chakra vari, che ripulisce il karma (come se fosse possibile!), attivatori di kundalini, psicologi dell’anima che parlano di lavoro su se stessi senza averlo mai attuato in prima persona, e poi chi più ne ha più ne metta. Si parla di esoterismo e spiritualità, senza aver alcun punto di riferimento solido, senza studi pregressi su materie come alchimia, magia, teosofia, antroposofia, antropologia, che richiedono anni e anni di studi e sperimentazioni.

Non faccio di tutta un’erba un fascio, perché i veri ricercatori esistono, ma un vero Maestro o un iniziato ai misteri, non si proclama mai tale, nè dice di essere in contatto con forze soprannaturali. Un vero Maestro chiederà sempre di verificare i suoi insegnamenti mettendoli in pratica. Ma soprattutto, i veri maestri praticano in prima persona quello che insegnano, lo vivono, nella quotidianità. Quindi è bene non dare troppa fiducia a chi predica bene e pratica male.
Ho scritto questo articolo soprattutto per coloro i quali sono da poco approdati nel mondo dell’esoterismo, della spiritualità e delle discipline psicofisiche in generale. Nel mondo della spiritualità contemporanea, i falsi guru e falsi Maestri sono chiaramente in numero maggiore di quelli autentici, e in misura sconfortante. Bisogna porre molta attenzione nella scelta delle vostre guide spirituali, insegnanti, terapeuti o sciamani che siano, ma soprattutto, informatevi bene, sperimentate, mettete da parte la buona fede e fatevi furbi. In caso contrario, la delusione potrebbe essere talmente forte da dissuadervi a proseguire il lavoro su di voi e credere che sia tutto falso. Ecco, io ve l’ho detto
“L’insegnante mediocre racconta. Il bravo insegnante spiega. L’insegnante eccellente dimostra. Il maestro ispira.” Socrate
“Si dice che le esperienze spirituali più profonde e più intime non dovrebbero mai essere riferite. È fondamentalmente vero, e non c’è ricercatore autentico che sia minimamente interessato a discuterne. Più profonda e più vitale è l’esperienza e minore è la tentazione di parlarne. Solo i principianti alle prese con un avvenimento teorico, immaginario, ne rivendicano l’esperienza.” Alice Bailey
fonte http://www.complottisti.info/falsi-guru-e-presunti-maestri-spirituali-ciechi-che-guidano-altri-ciechi/

http://wwwmyblogsky.blogspot.com/2018/10/falsi-guru-e-presunti-maestri.html
http://altrarealta.blogspot.it/

Le Figaro – Bocciatura del bilancio italiano: “La Commissione gioca a un gioco pericoloso”

DI CARMENTHESISTER 
Un altro intervento del professor Steve Ohana su Le Figaro (dopo quello già quipubblicato) commenta il rifiuto del disegno di bilancio italiano da parte della Commissione. A differenza di quanto accaduto in Grecia, in questa occasione la “fronda populista”  dei paesi periferici – intrappolati tra le politiche deflazionistiche imposte dalle regole europee e la minaccia di un taglio della liquidità da parte della BCE – è guidata da un paese come l’Italia, dice Ohana, che da un lato rappresenta il più importante mercato obbligazionario europeo e dall’altro appare attrezzata  a sostenere la sfida e a reagire, avendo alle spalle una annosa e approfondita riflessione sulle problematiche dell’eurozona. La Commissione si trova a dover contrastare frontalmente questa consapevole e aperta minaccia alle politiche liberiste che ne costituiscono la stessa ragion d’essere, ma così facendo il gioco si fa duro e la posta in gioco è la sopravvivenza stessa dell’eurozona. 



FIGAROVOX / TRIBUNE, 26 ottobre 2018 – Per Steve Ohana, vi è un alto rischio che il rifiuto del bilancio italiano da parte della Commissione spinga il governo italiano a misure sempre più ostili a Bruxelles.

Steve Ohana è professore di finanza presso l’ESCP Europe, storica e prestigiosa business school di Parigi.

Lo scorso martedì la Commissione europea ha respinto ufficialmente il progetto di bilancio presentato dal governo italiano per il 2019.

Primo rifiuto di bilancio nella storia dell’Unione europea, esso riflette il dilemma irrisolvibile di molti paesi dell’UE, in particolare quelli dell’Europa meridionale. Da un lato, l’applicazione coscienziosa dei trattati europei li blocca nella trappola deflazionistica della crescita debole e del sovraindebitamento. D’altra parte, nemmeno uno scontro troppo frontale sulle regole europee offre la possibilità di un esito favorevole a uno Stato che non emette il debito nella propria valuta, perché, in quel caso, le autorità europee sono in grado di farlo capitolare consegnando le sue banche e il suo governo alla vendetta dei mercati.

Alcuni governi hanno tentato una strada intermedia negoziando con la Commissione per ottenere una certa flessibilità nell’applicazione delle norme comunitarie (senza peraltro poter tornare alla piena occupazione e alla solvibilità). Se negli ultimi anni la Commissione si è dimostrata flessibile nell’applicazione del patto di stabilità con i governi di paesi come Francia, Italia, Portogallo o Spagna, è probabilmente perché i governi in questione hanno mostrato di avere le carte in regola su ciò che non era iscritto in bilancio (in particolare le cosiddette “riforme strutturali” riguardanti il ​​mercato del lavoro, il sistema pensionistico, ecc.). Ma è anche perché hanno saputo essere discreti e mantenere un profilo basso nei loro negoziati con la Commissione. In breve, la maggior parte dei leader politici europei, più o meno apertamente, condivideva l’idea che le regole fossero illegittime sul piano democratico ed economicamente inefficienti.

Ad esempio, l’attuale commissario europeo per gli affari economici e finanziari, Pierre Moscovici, già ministro delle finanze di François Hollande, in un’intervista concessa al New York Times nel 2013 ammise che i governi “democraticamente eletti” dovevano “difendere la propria visione” di fronte alla “ortodossia neoliberale” della Commissione … Tuttavia, i leader europei ritenevano allo stesso tempo che fosse comunque necessario mantenere l’apparenza del rispetto delle regole, al fine di non svelare apertamente l’inettitudine dell’ordine tecnico-giuridico europeo, una rivelazione che avrebbe potuto giovare al “populismo” e ai “nazionalismi” e suonare la campana a morto del “progetto europeo“. Forse questa commedia veniva recitata nella speranza che un giorno i governi dei diversi paesi europei avrebbero finito per accettare di modificare queste regole in una direzione più sostenibile o di completare l’unione monetaria attraverso un’unione bancaria e fiscale reale … Un sogno di un “salto federale dell’UE” ripetutamente portato avanti dai leader centristi europei (da François Hollande a Emmanuel Macron, passando per Matteo Renzi), e che non si è mai realizzato …

L’episodio della Grecia dell’estate 2015 è stato il primo tentativo, consapevolmente rivendicato, di far esplodere le austere catene legali dell’Unione Europea. Conosciamo il risultato: il primo ministro greco Alexis Tsipras ha optato per la capitolazione alle richieste della troika e la principale figura che contestava le regole, il ministro delle finanze greco Yannis Varoufakis, è stato costretto a farsi da parte in favore di posizioni più concilianti.

L’avvento al potere della coalizione italiana M5S / Lega nel maggio 2018 ha segnato una nuova svolta in questa fronda dei popoli europei contro l’edificio tecnico-giuridico europeo. La terza più grande economia della zona euro, che rappresenta il più grande mercato obbligazionario europeo, si è messa alla guida della rivolta contro le regole di governance europee. Come ha implicitamente ammesso Pierre Moscovici martedì scorso, l’aspetto più inquietante dell’atteggiamento italiano non è la trasgressione in sé (che non è così “eccezionale“, come dichiarato dalla Commissione rispetto ad altri paesi), ma il il modo in cui i leader politici italiani, e in particolare il leader della lega Matteo Salvini, “sostengono” e “rivendicano” questa trasgressione invece di provarne imbarazzo. È anche il fatto che la trasgressione non riguarda semplicemente il bilancio, ma praticamente mette in discussione tutta l’ortodossia economica promossa dalle istituzioni europee per trent’anni (mercato del lavoro flessibile, riforma delle pensioni, privatizzazione delle infrastrutture, ecc.) oltre alle norme europee sull’accoglienza dei migranti. Quindi in questa fronda si annida una minaccia esistenziale per l’UE, tanto più che Salvini ora manifesta l’ambizione di mettersi a capo della nuova Commissione europea dopo le elezioni europee di maggio 2019, con l’obiettivo di rifondare le regole UE e restituire gran parte della sovranità agli Stati

È quindi in corso una vera e propria guerra tra l’UE e la nuova coalizione italiana. Potrà anche esserci qualche tregua, ma non potrà esserci che un solo vincitore.

Il rifiuto del disegno di bilancio italiano da parte della Commissione è un passo cruciale in questo scontro perché, per la prima volta, è in gioco la stabilità finanziaria mondiale. Molti elementi importanti distinguono questa crisi da quella tra la Grecia e i suoi creditori nel 2015.

Da un lato, il debito pubblico italiano, che ammonta a poco meno di 2500 miliardi di euro, è quasi otto volte più grande del debito greco. Inoltre, è ampiamente presente nelle attività di banche, assicuratori e fondi di investimento (mentre quando è scoppiata la crisi greca nel 2015 il debito greco era detenuto principalmente da istituzioni pubbliche). Ricordiamo a titolo di confronto che il debito di Lehman Brothers al momento del suo fallimento ammontava “soltanto” a 600 miliardi di dollari … Un default dell’Italia sul proprio debito (tramite, ad esempio, la sua ridenominazione in lire) metterebbe in ginocchio il sistema bancario europeo, già molto debole e interconnesso. I margini di manovra degli attori pubblici saranno più ristretti rispetto alla crisi dei mutui subprime e dei debiti dei paesi periferici, in un contesto di cooperazione debole – o persino di sfiducia – sulla scena internazionale, di indebitamento pubblico già elevato e di stanchezza rispetto all’attivismo delle banche centrali.

D’altra parte, mentre il governo Tsipras era composto da leader fondamentalmente “pro-europei” e animati dal desiderio di “riformare l’euro” (e quindi privi di un “Piano B” di uscita dalla zona euro in caso il fallimento del loro “Piano A“), la coalizione italiana è composta da leader che sono allo stesso tempo molto più “euroscettici” e probabilmente molto meglio attrezzati intellettualmente rispetto al governo Tsipras su un eventuale “Piano B“. Gli economisti Paolo Savona, Claudio Borghi e Alberto Bagnai, che ricoprono posizioni chiave nel governo e nel Parlamento italiano, hanno già fatto una riflessione approfondita sul tema dell’euro, evocando già da molti anni la necessità per l’Italia di prepararsi a un’uscita. Salvini non nascondeva il suo desiderio di uscire dall’euro prima di assumere responsabilità di governo. La critica dell’euro fa anche parte del DNA del Movimento Cinque Stelle, attraverso le posizioni del suo fondatore, Beppe Grillo, fortemente euroscettico. Il primo progetto di coalizione redatto da Salvini e Di Maio, che era trapelato sulla stampa, faceva esplicita menzione di un “meccanismo di uscita dall’euro” nel caso si manifestasse una “chiara volontà popolare” in questo senso. Ricordiamo anche il riferimento ai “mini-bot“, una “moneta fiscale” parallela all’euro che se necessario potrebbe essere emessa dal governo.

Le dichiarazioni rassicuranti del governo italiano che affermano “l’assenza di un piano B” e la “volontà di restare nell’euro” non dovrebbero essere prese alla lettera, ma piuttosto come un’arma tattica usata da questo governo a servizio di una strategia a lungo termine che non è stata ancora rivelata. La coalizione attualmente non dispone di una maggioranza favorevole ad un’uscita “secca” dall’euro, ma si sforza, a volte in modo contraddittorio, di mettere il più possibile in discussione le norme europee (basandosi sul mandato democratico conferitogli dal popolo italiano), cercando di attribuire alle autorità europee le responsabilità per la crescita dello spread.

Giovanni Tria, il ministro italiano dell’economia, ha dichiarato che se lo spread Italia-Germania arrivasse al 4% (oggi è circa al 3,2%), allora il bilancio dovrebbe essere rivisto in linea con le richieste della Commissione (dichiarazioni riportate dalla stampa, ma che in realtà non risultano confermate da nessuna fonte ufficiale, ndt). Da parte sua, Giancarlo Giorgetti, vicino a Salvini, ha appena dichiarato che il superamento della soglia del 4% innescherebbe automaticamente una ricapitalizzazione delle banche italiane (a causa della loro elevata esposizione al debito sovrano nazionale, che deve essere registrato nel loro bilancio al valore di mercato). La prima dichiarazione invita la Commissione europea ad esercitare la massima pressione sull’Italia al fine di far aumentare lo spread fino al 4% e far così capitolare la coalizione italiana. Questa è precisamente la strategia in fase di attuazione da parte della Commissione. D’altro canto, la dichiarazione di Giorgetti è molto più difficile da interpretare. Se la ricapitalizzazione venisse fatta nel quadro della zona euro, rischierebbe di innescare una corsa agli sportelli (“bank run“) da parte dei creditori e depositanti delle banche nel momento in cui la soglia del 4% venisse superata. In effetti, secondo le regole dell ‘”Unione bancaria europea“, la ricapitalizzazione di una banca in difficoltà da parte del “Meccanismo di risoluzione unico” richiede di imputare le perdite ai depositanti e ai creditori della banca in questione. Questo evento di “forza maggiore” potrebbe quindi indurre il governo italiano a tirar fuori l’ipotetico “Piano B“, volto a ricapitalizzare il proprio sistema bancario emettendo una propria valuta.

A quanto è possibile capire, le intenzioni del governo italiano sono molto difficili da interpretare e non è escluso che il fine ultimo della manovra sia quello di mettere la Commissione in trappola, consentendole di provocare una situazione di crisi e quindi innescando la messa in atto di un piano di uscita del quale la Commissione porterebbe la piena responsabilità.

In questo contesto, il gioco della Commissione appare estremamente avventuroso. Il “successo” della troika di fronte alla fronda greca dell’estate 2015 la sta forse inducendo a commettere un grave errore di valutazione sulle intenzioni italiane. Questa scommessa potrebbe avere conseguenze incalcolabili per i popoli che si trovano ostaggio di questo scontro.

EU e sovranisti. Lo spettro delle elezioni europee. Equilibri rotti.

Giuseppe Sandro Mela.

2018-10-31.

EP-051364A_Tajani_Brexit
Opening the debate on BREXIT

Le elezioni europee del 25 maggio 2014 avevano visto il ppe, partito popolare europeo, conquistare il 29.2% dei voti e 221 seggi, ed il pse, partito socialista europeo, il 25.4% e 191 seggi.

Le prospezioni elettorali al 26 ottobre 2018 darebbero il ppe al 20.9% 180 seggi, ed il pse al 18.4% 139 seggi.

Ciò che risulterebbe evidente sarebbe il fatto che il ppe avrebbe perso 41 seggi ed il pse 52 seggi. Il ppe avrebbe una variazione percentuale di -18.55% ed il pse del -27.23%: sarebbero veri e propri crolli.

Ne consegue che il ppe ed il pse avrebbero perso in seno all’europarlamento quella maggioranza percentuale e di seggi che aveva loro consentito nei decenni passati di governarne in modo incontrastato imponendo la loro Weltanschauung liberal socialista.

Questi conti sono in parte drogati da alcuni bias di non poca importanza.

Intanto, queste prospezioni si basano sui risultati politici nei diversi stati membri, ma in paesi popolosi come la Germania e l’Italia i partiti che prima confluivano nel ppe e nel pse hanno subito, e stanno ancora subendo, severe contrazioni elettorali: sarebbe quindi lecito supporre che queste prospezioni siano fortemente ottimistiche.

Poi, sia il ppe sia il pse sono formazioni altamente eterogenee. Per esempio, nel ppe confluiscono i seguaci di Mr Orban che convivono con gli europarlamentari della Csu e della Cdu: due visioni politiche totalmente differenti ed anche ai ferri corti. Ben lo si è visto nella frattura del ppe in occasione del voto se deferire o meno l’Ungheria all’art. 7. 

Infine, si consideri che dopo i risultati delle elezioni tenutesi in Baviera prima ed in Hessen dopo, il potere di Frau Merkel è svanito: si è ridotta ad una larva sia in patria sia nell’Unione Europea. Per mesi, forse anche per anni, la voce della Germania sarà molto debole in Europa.

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Il crollo dell’asse ppe – pse è l’elemento caratteristico che emerge dal quadro politico dell’Unione Europea: non saranno più maggioranza. La devoluzione delle ideologie liberal e socialista prosegue implacabile.

Come conseguenza di non poco conto, si tenga presente come i Commissari Europei debbano essere avallati dall’europarlamento: il blocco ppe – pse non potrà più imporre i suoi candidati e non sarà più automatico che l’europarlamento ratifichi le decisioni prese dal consiglio Europeo, anche esso risultato mutato negli atteggiamenti politici. Inoltre non è detto che il pse resti il secondo partito in europarlamento, e, di conseguenza, che resti come secondo gruppo parlamentare. Fatto questo di gran conto tenendo presente i criteri delle candiature a Presidente della Commissione Europea.

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Ad oggi, i liberal ed i socialisti residui esultano per il fatto che i sovranisti non abbiano ancora la forza di conquistare la maggioranza europarlamentare. Questo modo di pensare sembrerebbe essere invero ben magra consolazione. In politica ci si batte per vincere, non per far vincere altri.

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Sulla base dei dati disponibili si aprirebbe un quinquennio di grandi incertezze: senza una maggioranza stabile e coesa è semplicemente impossibile esprimere una linea politica ed economica coerente, specie tenendo presente che a livello internazionale i grandi competitori dell’Unione Europea, Stati Uniti di America, Cina, Russia ed India hanno invece governi stabili e determinati a far sentire a livello mondiale le proprie esigenze.


→ Sole 24 Ore. 2018-10-28. Sovranisti, quanti sono in Europa e cosa potrebbe succedere alle elezioni di maggio

Alla vigilia delle elezioni in Baviera, lo scorso 14 ottobre, i media europei pronosticavano l’exploit dell’ultradestra di Alternative für Deutschland. È andata un po’ diversamente: a fare il boom è stato un partito all’estremo opposto, i Verdi, mentre la Afd è scivolata da attese del 20% alla metà esatta dei voti. Non è la prima volta che le urne sconfessano i sondaggi sulla «crescita dei populismi in Europa» in vista del voto nel maggio 2019. Eppure l’argomento resta caldo, se si considera che la crescita dei neofascismi in Europa sbarca oggi in un dibattito alla plenaria del Parlamento Ue a Strasburgo. La stessa assemblea che teme di risvegliarsi affollata di sigle sovraniste dopo le elezioni dell’Eurocamera, nel vivo di una crisi sta che indebolendo i macroschieramenti del centrodestra (Popolari) e centrosinistra (Socialdemocratici, mai così fragili nella loro storia).

Ma è davvero così imminente l’exploit della destra radicale? Sensazioni e numeri offrono un quadro diverso fra loro. Se ci si limita allo status quo, le dimensioni del fenomeno sono molto più modeste di quello che emerge negli annunci. Secondo una stima di Politico.eu, una testata che si occupa di affari europei, il totale di partiti classificati come euroscettici «soft» (si vedano i “nostri” Cinque stelle) o «hard» (a cominciare dalla Lega) conquisterebbe oggi, a fatica, tra i 150 e i 170 seggi. Meno di un quarto delle 705 poltrone che saranno assegnate dopo il voto di maggio, il primo senza il Regno Unito e il suo drappello di parlamentari. La stima cala ancora nelle previsioni di altri istituti, ma non è detto che la contabilità dei seggi (e dei gruppi politici tradizionali) fotografi bene cosa potrebbe succedere prima delle elezioni di maggio.

Quegli (almeno) 100 seggi in odore di sovranismo

In effetti la stima di Politico.eu sembra quasi eccessiva, rispetto alla media di rivelazioni fiorite a poco più di un semestre dalle urne. Pollofpolls.eu, un portale che monitora l’evolversi delle intenzioni di voto in Europa, ridimensiona la quota di voti «sovranisti» a poco più di 100 unità: 57 raccolti dai partiti che confluiscono in Europe of nations and freedom (Europa delle nazioni e delle libertà, Enf, la famiglia europea della Lega) e 50 a favore delle liste collegate a Europe of Freedom and Direct Democracy (Europa della libertà e della democrazia diretta, Efdd, il rassemblement che ospita al suo interno i Cinque stelle). La parte del leone spetterebbe proprio all’Italia, con un totale di 28 seggi in arrivo dalla Lega e 26 dai Cinque stelle. Un’infornata di consensi a rinforzo delle due famiglie che contano fra le proprie file il Rassemblement national di Marine Le Pen, l’estrema destra tedesca di Alternative für Deutschland e altre sigle minori, ma abbastanza caratteristiche, come i polacchi di Nowa Prawica (un partito «radicalmente euroscettico» che invoca il ritorno alla pena di morte) e Svoboda a přímá demokracie, partito ceco da 1.400 iscritti che si batte soprattutto su contrasto a immigrazione e «islamizzazione del paese» (anche se non dall’Europarlamento, visto che alle scorse elezioni Ue il bilancio degli eletti è rimasto a zero).

A parte il nome, quasi identico, Enf e Efdd sono accomunate dall’unico fattore trasversale a tutte le sigle politiche racchiuse fra i due gruppi: l’euroscetticismo. La diffidenza per i «burocrati di Bruxelles», secondo alcuni analisti, potrebbe fare da collante e scavalcare le ostilità implicite a un gruppo composto da soli nazionalisti. A maggior ragione se la rivendicazione di maggiori poteri nazionali, altro cavallo di battaglia dei sovranisti, si traduce in progetti di «chiusura delle frontiere» e di freni sempre più rigidi alla libera circolazione delle persone.

Le basi comuni: euroscetticismo e anti-immigrazione

Resta l’handicap più evidente, quello numerico: si parla di coalizione che inciderebbe su un settimo o, al massimo un sesto, dell’Eurocamera. Poco per lasciare il segno, soprattutto se l’ambizione è di mettere mano sui principi fondativi del disegno comunitario. Ma c’è chi mette in guardia dalla semplificazione di considerare estremiste solo le forze che si qualificano esplicitamente come tali. Susi Meret, un’esperta di populismi in cattedra alla danese Aalborg University, fa notare che i comuni denominatori di euroscetticismo e campagne anti-immigrazione potrebbero gettare le basi per un’alleanza che superi la periferia destra radicale. Forze come il Rassemblement national (versione aggiornata del Front national di Marine) o il Danish people party, per citarne due, sono nel vivo di un processo di «normalizzazione» che corteggia il voto moderato. Senza contare che forze distanti dal perimetro del voto moderato, come Fidesz di Viktor Orban, restano stabilmente all’interno dei Popolari europei.

«Sono partiti che stanno cercando di rifarsi l’immagine, sdoganandosi verso nuove fette di elettorato – osserva Meret – Questo potrebbe portare alla creazione di coalizioni molto più ampie di quelle proiettate dallo status quo attuale». Sì, ma come si mette ordine fra partiti nazionalisti, per loro natura inclini a badare più agli interessi domestici che a disegni comunitari? Meret ipotizza che il cavallo di battagli condiviso sia quello di una «Europa minima»: svuotare l’Unione europea della sovranità acquisita su pilastri come giustizia, affari interni, immigrazione e, magari, gli stessi sistema Schengen e della moneta unica. Un progetto che soddisferebbe tutte le forze in campo, sorvolando i punti di attrito naturali. Ad esempio sui conti pubblici, terreno di scontro inevitabile fra il rigore del Nord Europa e le turbolenza del nostro governo per l’innalzamento del deficit. «Lì ci sarebbe sicuramente una forma di grosso contrasto – dice Meret- Che i nazionalisti vorrebbero risolvere portando la questione dei conti a un livello nazionale». Cioè fuori dai parametri di Maastricht. O, direttamente, fuori dall’Europa.

Ci siamo, preparate il santino di Friedman e abbracciate l'icona di Cottarelli: dopo mesi di preoccupazioni sua maestà lo Spread è tornato. È proprio vero che certi amori fanno dei giri immensi e poi ritornano.
di Andrea Romani 

«T’amo, pio spread». Se fosse nostro contemporaneo, il buon Carducci probabilmente non si sognerebbe mai di trasformare il soggetto del suo genio, portando dai campi ai palazzi della finanza la divina musa della Poesia. Eppure noi lo amiamo tanto lo spread, e non perché fa roteare attributi ben lontani dagli occhi bovini del bove carducciano. 
Compagno inseparabile della nostra giovinezza, il differenziale del tasso di rendimento tra i bund tedeschi e i btp italiani a 10 anni anima le vite e la routine di milioni di italiani da quasi un decennio: quanta acqua è passata sotto i ponti, da quell’ormai lontana estate del 2011 in cui un termine straniero iniziava a divenire sempre più presente nei media. E più acquisiva notorietà e più aumentava, fantasma calato su un Belpaese ancora intento a spettegolare sui bunga bunga del sempreverde Berlusca. Che perfomance, allora! Da agosto a novembre, in un crescendo rossiniano, sfondò quota 500 costringendo B. a una precipitosa staffetta con il paludato Mario Monti, curatore fallimentare travestito da economista mainstream. L’Italia stava per precipitare sull’orlo del baratro, costretta dalla durezza del vivere a cambiare diametralmente rotta dagli anni allegri di tv e donnine: tirare la cinghia per tirare il collo allo spread. Per salvare la Patria nessun sacrificio è troppo.
Mario Monti, al Quirinale, presenta il nuovo Consiglio dei ministri (2011)
Tutti ricordiamo il FATE PRESTO a titoli di scatola offerto gentilmente da Confindustria sul suo quotidiano in quel grigio novembre. Nessuno però rammenta cotanta preoccupazione nell’estate degli Europei d’Ucraina e Polonia, quando accanto alle prodezze degli azzurri il termometro segnava di nuovo il limite dei 500 punti: anche al Sole spettava il diritto di vedere le partite in pace… 
Doveva intervenire un altro Mario, che whatever it takes intervenne per salvare la baracca dell’euro dalle acque procellose della speculazione. Occorreva capire che evidentemente più che della bella vita mediterranea, agli speculatori interessasse prezzare il rischio di rottura dell’eurozona e il relativo scorno dovuto alla ridenominazione dei titoli italiani in nuove lire.
Ma in fondo i grandi amori sono spesso inspiegabili, fanno dei giri immensi e poi ritornano. Da fine 2012 fino ad aprile 2018 la nostra relazione conobbe infatti una pausa: sì, se ne parlava ancora in tv, ma di quelle performance stellari non restava che il ricordo, distrutte dalla ritrovata cre-di-bi-li-tà del governo italiano. In fondo sapevamo che il vero responsabile fosse Draghi e il suo acquistare a man bassa titoli di stato per salvare banche e bancherelle (non penserete certo che un simile gigante possa perder tempo appresso ai destini della casalinga di Voghera): però i media nostrani celebravano la ritrovata solidità nazionale, i successi del tris pd LettaRenziGentiloni erano sotto gli occhi di tutti, attiravamo addirittura migliaia di immigrati in forza della nostra nuova grandeur made in Nazareno.
Eppure la realtà è una zitella dispettosa che prima o poi acchiappa per i capelli la narrazione mediatica e la riduce a fettine. Venne il referendum del 4 dicembre, poi le elezioni del 4 marzo, infine il mese e mezzo di convulse trattative, il niet dell’inquilino del colle e quando oramai non ci credeva più nessuno il miracolo (o l’incubo): il governo gialloverde, Jamaica negli occhi dei panciuti lettori borghesi di Severgnini e Gramellini.
Noi sperammo, allora, che qualcosa potesse succedere. La finanza è generosa: ogni tanto socializza le perdite, ma vuoi mettere quando colpisce con la speculazione il libero risultato di democratiche consultazioni popolari? Fa più un trader che un intero pullman di Civati. Qualcuno sussurrò che Salvini e Di Maio volessero uscire dall’euro, altri giurarono e spergiurarono che Savonafosse un troll di Putin, altri ancora videro Borghi e Bagnai chiudersi in una tipografia al chiaro di Luna: i rumori del torchio erano inequivocabili. 
Mentre la Bocconi andava in tilt, riappariva il nostro grande amore. Dopo alcune bizze interlocutorie, tornato dalle vacanze lo spread ci ha fatto francamente sognare sfondando i 300 punti, tra lo stracciamento di vesti e lo stridor di denti dei nostri cantori. Ci sembra quasi di tornare adolescenti, fare un salto di sette anni e attendere fiduciosi un nuovo salvatore con in tasca l’immaginetta di Friedman e in testa l’esempio di Pinochet.

Alan Friedman a lezione da Giulio Sapelli
Come andrà a finire? Per quanto ci riguarda noi desideriamo ardentemente che lo spread arrivi a 1000, a 10000, financo a un miliardo! Cosa sono i numeri di fronte alla passione? Cos’è la razionalità economica, la certificata idiozia di un progetto di unificazione monetaria fallimentare, la distruzione della democrazia italiana, l’asservimento d’Italia a un losco ubriacone e un trozkista che fa rima con wc rispetto a uno strumento mitologico, invisibile e potentissimo, come sua maestà lo spread? Cosa possiamo pretendere noi, piccoli e insignificanti eredi di trenta secoli di Storia, normali e in fondo banali figli di un benessere conquistato con le unghie dai nostri padri e dai nostri nonni, di fronte all’Unione europea, il sogno distopico di un branco di burocrati infami e vili?
Potremmo finirla, riconquistarci il minimumche distingue lo Stato dalla colonia – sovranità monetaria, politica economica autonoma, nazionalizzazione dei settori strategici e del debito pubblico – e vivere finalmente in una normalità che è norma a Sidney e utopia a Roma. Liberarci per la terza volta in un secolo dallo straniero, attuare la Costituzione e provare finalmente a vivere da uomini. E a quel punto chi penserebbe più allo spread?

Le bufale del Rating, i referendum disattesi, le Lobby e la cessione di aziende

di Byoblu

Moody’s declassa l’Italia, e le agenzie di rating finiscono sulla bocca di tutti. I commentatori le dipingono come autorevoli docenti che distribuiscono “pagelle”, ma la realtà racconta una storia un po’ diversa.

Ad esempio: tutti sanno che Moody’s classificò come affidabile la Lehman Brothers, che invece fallì subito dopo; ma Moody’s classificò “A” anche la Enron, pochi giorni prima del clamoroso default. Inoltre, di recente Moody’s è stata condannata a pagare quasi un miliardo di dollari di multa, per aver gonfiato i suoi ratings. A breve poi sull’Italia cadrà anche la falce delle altre agenzie, S&P e Fitch, che appartengono a grandi gruppi media e che vantano anch’esse belle cantonate, dall’Argentina alla Parmalat.
l famoso “rating”, poi non descrive affatto la realtà di un Paese, come a volte si lascia intendere: ad esempio il Botswana, il Bangladesh e la Nigeria hanno un rating superiore all’Italia… A dimostrazione del fatto che le agenzie fotografano solo interessi finanziari, e non certo la qualità della vita.
Libri e varie...
I PIANI SEGRETI DEL CLUB BILDERBERG
Dalla crisi economica alle rivolte: il grande complotto dell'organizzazione che ci manipola nell'ombra
di Cristina Martin Jimenez
LA PRIVATIZZAZIONE DEL MONDO
di Jean Ziegler
È L'ECONOMIA CHE CAMBIA IL MONDO
Quando la disuguaglianza mette a rischio il nostro futuro
di Yanis Varoufakis
L'ASSURDITà DEI SACRIFICI
Elogio della spesa pubblica
di John Maynard Keynes
IL TRADIMENTO
Globalizzazione e immigrazione, le menzogne delle élite
di Federico Rampini
LE CATENE DEL DEBITO
E come possiamo spezzarle
di Francesco Gesualdi

Anche in Macedonia referendum diastteso

I referendum, ormai, sembrano fatti per essere disattesi: da oltre due anni voci autorevoli chiedono la ripetizione del referendum Brexit di cui non hanno gradito il risultato. Tristemente famoso, poi, il referendum greco del 2015, in cui i cittadini dissero no all’austerity, e il governo la approvò il giorno dopo. Ma prima ancora, la Danimarca su Maastricht, Francia e Olanda sulla Costituzione Europea, l’Irlanda sul Trattato di Lisbona: tutti rigettati e fatti rifare fino allo sfinimento.
Ebbene, la cosa si è appena ripetuta in Macedonia: il 30 settembre è fallito il referendum per la modifica del nome del Paese e di suoi simboli tradizionali, che serviva per accontentare la Grecia ed entrare in UE e Nato. Ma il Parlamento, nei giorni scorsi, ha approvato ugualmente la modifica grazie anche al ribaltone di alcuni parlamentari. Democrazia parlamentare e volontà popolare, insomma, appaiono sempre più spesso su percorsi divergenti.

Per la sindaca Colau le basiliche sono ecomostri 

L’architetto Antoni Gaudì è uno dei simboli di Barcellona, le sue meravigliose opere sono protette dall’Unesco e visitate da milioni di turisti. Ma tutto questo non basta alla sindaca di Barcellona, Ada Colau, che ha multato la celeberrima Basilica della Sagrada Familia di ben 36 milioni di euro. Il reato? Sta lì da 133 anni, ma non ha la licenza a costruire, insomma è… un abuso edilizio! Lo sbalordimento è mondiale. Sui social ci si chiede se il Colosseo o il Taj Mahal abbiano i permessi in regola, e si calcola a quanti miliardi ammonterebbe la multa arretrata per le Piramidi in Egitto. A volte l’ottusità della burocrazia (o dell’ideologia…), colpisce alla cieca, facendo del male in primis al proprio Paese.

Lobby del Glifosato con gli “esperti” a libro paga?

Ma succede davvero, che le lobby o le multinazionali usino “esperti del ramo” per influenzare la pubblica opinione? Secondo l’ultima clamorosa indagine di Greenpeace, sembra proprio di sì: pare infatti che la Monsanto, attraverso un’agenzia di public relations, abbia creato una improbabile rete di agricoltori per promuovere l’uso del solito glifosato in tutta Europa.Questi “addetti ai lavori”, costituiti in autorevoli associazioni dai nomi rassicuranti quali “Agricoltura libera” o “Sana agricoltura”, hanno presenziato a fiere e attivato campagne social pro glifosato, approfittando della fiducia dei cittadini nei cosiddetti “esperti”. Ma ora la domanda è: lo fa solo la Monsanto? Succede solo in agricoltura? Chissà…

L’Italia perde l’anima: addio anche a Magneti Marelli 

È un flagello da cui sembra impossibile liberarsi: in Italia si susseguono ancora cessioni di aziende “fiore all’occhiello” a multinazionali straniere. Negli ultimi giorni ha fatto scalpore la cessione de “iGuzzini”, leader in design e illuminotecnica “made in Italy” e per questo ancora più dolorosa, ad un grande gruppo svedese. Ma ancora più rumore sta facendo la cessione di un marchio storico come “Magneti Marelli”, un’industria da 8 miliardi di fatturato ad alto tasso tecnologico. Sembra impossibile: da pochi giorni Magneti Marelli, dopo 100 anni, non è più italiana ma giapponese. E purtroppo non finirà qui, perché si vocifera di una cessione ai francesi del marchio Ferragamo, e si teme persino per Esselunga. Ci stiamo vendendo l’anima, insomma, e non potremo più ricomprarla.
Articolo di Byoblu (Titolo originale:”Le bufale del rating”)