Ben oltre la retorica e lo “specchietto per le allodole” dei cosiddetti “diritti gay”, l’ideologia gender è, in realtà, un vero e proprio progetto di annichilimento d’ogni identità umana e sessuale: l’ideale di un’umanità “fluida” e informe dove, a detta dei suoi stessi “paladini”, la felicità deve risiedere in un “polimorfo” utilizzo del sesso in tutte le sue declinazioni: anche la pedofilia.
QUALI SONO LE BASI DEL “GENDER”?
Senza alcun dubbio, i padri dell’ideologia gender – questa nuova e invadente “visione dell’uomo” che, al giorno d’oggi, viene caldeggiata non solo dai movimenti gay ed omosessualisti, ma da gran parte di quelli che si suole chiamare “poteri forti” – possono identificarsi con le figure dello psichiatra americano Alfred Kinsey e, più ancora, del chirurgo (lavorava in una clinica che praticava “cambi di sesso”) neozelandese ma naturalizzato statunitense John Money. E ad essi che vanno fatte risalire le “basi dottrinali” del gender (l’espressione “teoria di genere” e “identità di genere” al posto di “identità sessuale”, risale più propriamente a Money), le quali possono riassumersi in alcuni assiomi fondamentali:
  • l’identità sessuale sarebbe, essenzialmente, una “costruzione culturale” rispetto alla quale il dimorfismo fisico uomo-donna ha un’importanza del tutto relativa;
  • i “generi” sessuali sarebbero innumerevoli (etero, omo, bisex, trans-gender, ecc.) e la maggior parte degli esseri umani avrebbero, in realtà, un’identità “cangiante” e destinata a mutare più volte nel corso della vita. La sessualità più felice e appagante, in quanto maggiormente libera dagli artificiosi “stereotipi” del passato e dal presunto “falso dimorfismo” uomo/donna, sarebbe quella “polimorfa” di chi, appunto, transita liberamente da un “genere” all’altro;
  • la creazione di un’umanità felice e liberatasoprattutto dalle pulsioni “aggressive”, implicherebbe una precoce “sessualizzazione dell’infanzia”, che implica anche una liberalizzazione dei rapporti tra bambini e adulti (pedofilia) purché vissuti “senza violenza” (Kinsey).
ALFRED KINSEY: “PEDOFILIA SI, MA CON DELICATEZZA”
Kinsey è stato l’autore dei due mastodontici studi pubblicati dalla Fondazione Rockefeller sul tema del comportamento sessuale – Sexual Behavior in the Human Male (1948) e Sexual Behavior in the Human Female (1953) – i quali, benché redatti con criteri deontologici a dir poco discutibili (basti pensare come una gran parte dei “dati statistici” in essa contenuti, e che nell’intenzione avrebbero dovuto offrire una visione realistica della vita sessuale degli americani, sono stati ottenuti intervistando soggetti tratti dalla popolazione carceraria, molti dei quali detenuti proprio per reati sessuali), ebbero l’effetto di innescare quella vera e propria “rivoluzione sessuale” da cui l’ideologia gender indubbiamente promana.
Tra i dati propagandati da Kinsey, oltre al ben noto quanto privo di fondamento che indicherebbe come di “tendenza omosessuale” ben il 10% della popolazione adulta, vi è anche il contestato (e per certi versi sconcertante) paragrafo dal titolo Contatti nell’età prepubere con maschi adulti, in cui vengono descritti rapporti sessuali tra bambine e uomini adulti e addirittura la “tabella” riguardante i “tempi” occorrenti ad un bambino per arrivare all’orgasmo; studio che ha suscitato, come ovvio, strascichi polemici e persino penali negli Stati Uniti, dove un’indagine, la H.R. 2749, cerca tutt’oggi di capire come siano stati “sperimentalmente” ottenuti i dati presenti nella tabella.
Secondo Kinsey, addirittura, i rapporti dei bambini con gli adulti potrebbero avere la positiva funzione di “preparare al matrimonio”:
«Se la bambina non fosse condizionata dall’educazione, non è certo che approcci sessuali del genere di quelli determinatisi in questi episodi [contatti sessuali con maschi adulti], la turberebbero. È difficile capire per quale ragione una bambina, a meno che non sia condizionata dall’educazione, dovrebbe turbarsi quando le vengono toccati i genitali, oppure turbarsi vedendo i genitali di altre persone, o nell’avere contatti sessuali ancora più specifici. (…) L’isterismo in voga nei riguardi dei trasgressori sessuali può benissimo influire in grave misura sulla capacità dei fanciulli ad adattarsi sessualmente alcuni anni dopo, nel matrimonio. (…) Il numero straordinariamente piccolo dei casi in cui la bambina riporta danni fisici è indicato dal fatto che fra 4.441 femmine delle quali conosciamo i dati, ci risulta un solo caso chiaro di lesioni inflitte ad una bimba, e pochissimi esempi di emorragie vaginali che, d’altronde, non determinarono alcun inconveniente apprezzabile»[1].
JOHN MONEY E L’APOLOGIA DELLA PEDOFILIA
Il padre ufficiale dell’ideologia gender (inventore della stessa espressione) è, tuttavia, il chirurgo John Money, fondatore all’interno della John Hopkins University della Clinica per l’Identità di Genere per pazienti con sintomi transessuali e protagonista di “esperimenti” di “cambio di sesso” a dir poco spericolati.
Per quello che ci riguarda, tuttavia, è interessante vedere come Money condividesse il sogno della “rivoluzione sessuale” in forma ancora più radicale di Kinsey: egli propugnava infatti una sorta di “democrazia sessuale” nella quale ogni tipo di rapporto sessuale sarebbe stato promosso e legalizzato, compresa la pedofilia.
Secondo Money, infatti, l’erotizzazione dell’umanità fin dalla più tenera età avrebbe avuto l’effetto di sciogliere la componente aggressiva della persona. Egli «espresse anche il suo disappunto per la mancanza di strutture deputate all’educazione sessuale dei bambini». Nella sua prefazione al libro di Theo Sandfort, Boys on their contacts with men (I ragazzi e i loro contatti con gli uomini), Money scrive:
«La pedofilia e l’efebofilia non sono una scelta volontaria più di quanto lo sia il fatto di essere mancini o daltonici. Non esiste un metodo conosciuto di trattamento attraverso cui essi possano essere modificati effettivamente e in via definitiva. Le punizioni sono inutili. […] Bisogna semplicemente accettare il fatto che esistono, e poi, con un illuminismo ottimale, formulare una politica sul da farsi»[2].
Per il padre dell’ideologia gender, dunque, uno degli scopi dell’umanità futura sarebbe stato (ancor più della liberalizzazione dei “diritti omosessuali”) soprattutto la sessualizzazione dell’infanzia. Del resto, secondo Money, i bambini erano naturalmente «eccitati sessualmente» dalle carezze degli adulti e degli stessi genitori, lasciando intendere come lo stesso “amore genitoriale” non fosse altro che una “sublimazione” dell’attrazione sessuale:
«La maggior parte degli adulti ama carezzare i bambini e i bambini rispondono a questo tipo di intimità eccitandosi sessualmente ed eroticamente. In verità essi sono incapaci di essere eccitati da qualcuno troppo giovane. Per loro non esiste una sovrapposizione tra l’amore genitoriale e quello sessuale»[3].
L’ULTIMO “TABU’” DESTINATO A CADERE?
Se i presupposti dell’ideologia gender sono questi, c’è forse da stupirsi dei sempre più invadenti tentativi di ipersessualizzazione dell’infanzia portati avanti dalla moda, dal cinema e, in alcuni casi, persino dalle scuole?
Naturalmente, è vero che la sensibilità delle masse sembra ancor oggi rifiutare la pedofilia, ma c’è anche da chiedersi quanto questa “sensibilità” possa sopravvivere, poniamo esempio, ad un massiccio e prolungato “attacco mediatico”. Le mutazioni del “sentire comune” indotte dai mass-media nel giro di pochi anni – i cui esempi sono innumerevoli – non fanno certo ben sperare per il futuro…
L’unica possibilità che ci rimane è, almeno finora, quella di informare, utilizzando i mezzi sempre più ridotti che ci vengono concessi. Da questo punto di vista, è importante comprendere che “il progetto gender” va ben oltre le istanze già discutibili riguardanti i cosiddetti “diritti omosessuali” (matrimonio, adozione di bambini, ecc.), ma mira ad una ben più radicale (e drammatica) mutazione antropologica.
[1] Alfred Kinsey, Il comportamento sessuale della donna, Bompiani, Milano 1956, pp. 159-160.
[2] T. Sandfort, Boys and their contacts with men. A Study of sexually expressed friendship, Global Academic Publishers, New York 1987