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mercoledì 31 ottobre 2018

EU e sovranisti. Lo spettro delle elezioni europee. Equilibri rotti.

Giuseppe Sandro Mela.

2018-10-31.

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Opening the debate on BREXIT

Le elezioni europee del 25 maggio 2014 avevano visto il ppe, partito popolare europeo, conquistare il 29.2% dei voti e 221 seggi, ed il pse, partito socialista europeo, il 25.4% e 191 seggi.

Le prospezioni elettorali al 26 ottobre 2018 darebbero il ppe al 20.9% 180 seggi, ed il pse al 18.4% 139 seggi.

Ciò che risulterebbe evidente sarebbe il fatto che il ppe avrebbe perso 41 seggi ed il pse 52 seggi. Il ppe avrebbe una variazione percentuale di -18.55% ed il pse del -27.23%: sarebbero veri e propri crolli.

Ne consegue che il ppe ed il pse avrebbero perso in seno all’europarlamento quella maggioranza percentuale e di seggi che aveva loro consentito nei decenni passati di governarne in modo incontrastato imponendo la loro Weltanschauung liberal socialista.

Questi conti sono in parte drogati da alcuni bias di non poca importanza.

Intanto, queste prospezioni si basano sui risultati politici nei diversi stati membri, ma in paesi popolosi come la Germania e l’Italia i partiti che prima confluivano nel ppe e nel pse hanno subito, e stanno ancora subendo, severe contrazioni elettorali: sarebbe quindi lecito supporre che queste prospezioni siano fortemente ottimistiche.

Poi, sia il ppe sia il pse sono formazioni altamente eterogenee. Per esempio, nel ppe confluiscono i seguaci di Mr Orban che convivono con gli europarlamentari della Csu e della Cdu: due visioni politiche totalmente differenti ed anche ai ferri corti. Ben lo si è visto nella frattura del ppe in occasione del voto se deferire o meno l’Ungheria all’art. 7. 

Infine, si consideri che dopo i risultati delle elezioni tenutesi in Baviera prima ed in Hessen dopo, il potere di Frau Merkel è svanito: si è ridotta ad una larva sia in patria sia nell’Unione Europea. Per mesi, forse anche per anni, la voce della Germania sarà molto debole in Europa.

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Il crollo dell’asse ppe – pse è l’elemento caratteristico che emerge dal quadro politico dell’Unione Europea: non saranno più maggioranza. La devoluzione delle ideologie liberal e socialista prosegue implacabile.

Come conseguenza di non poco conto, si tenga presente come i Commissari Europei debbano essere avallati dall’europarlamento: il blocco ppe – pse non potrà più imporre i suoi candidati e non sarà più automatico che l’europarlamento ratifichi le decisioni prese dal consiglio Europeo, anche esso risultato mutato negli atteggiamenti politici. Inoltre non è detto che il pse resti il secondo partito in europarlamento, e, di conseguenza, che resti come secondo gruppo parlamentare. Fatto questo di gran conto tenendo presente i criteri delle candiature a Presidente della Commissione Europea.

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Ad oggi, i liberal ed i socialisti residui esultano per il fatto che i sovranisti non abbiano ancora la forza di conquistare la maggioranza europarlamentare. Questo modo di pensare sembrerebbe essere invero ben magra consolazione. In politica ci si batte per vincere, non per far vincere altri.

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Sulla base dei dati disponibili si aprirebbe un quinquennio di grandi incertezze: senza una maggioranza stabile e coesa è semplicemente impossibile esprimere una linea politica ed economica coerente, specie tenendo presente che a livello internazionale i grandi competitori dell’Unione Europea, Stati Uniti di America, Cina, Russia ed India hanno invece governi stabili e determinati a far sentire a livello mondiale le proprie esigenze.


→ Sole 24 Ore. 2018-10-28. Sovranisti, quanti sono in Europa e cosa potrebbe succedere alle elezioni di maggio

Alla vigilia delle elezioni in Baviera, lo scorso 14 ottobre, i media europei pronosticavano l’exploit dell’ultradestra di Alternative für Deutschland. È andata un po’ diversamente: a fare il boom è stato un partito all’estremo opposto, i Verdi, mentre la Afd è scivolata da attese del 20% alla metà esatta dei voti. Non è la prima volta che le urne sconfessano i sondaggi sulla «crescita dei populismi in Europa» in vista del voto nel maggio 2019. Eppure l’argomento resta caldo, se si considera che la crescita dei neofascismi in Europa sbarca oggi in un dibattito alla plenaria del Parlamento Ue a Strasburgo. La stessa assemblea che teme di risvegliarsi affollata di sigle sovraniste dopo le elezioni dell’Eurocamera, nel vivo di una crisi sta che indebolendo i macroschieramenti del centrodestra (Popolari) e centrosinistra (Socialdemocratici, mai così fragili nella loro storia).

Ma è davvero così imminente l’exploit della destra radicale? Sensazioni e numeri offrono un quadro diverso fra loro. Se ci si limita allo status quo, le dimensioni del fenomeno sono molto più modeste di quello che emerge negli annunci. Secondo una stima di Politico.eu, una testata che si occupa di affari europei, il totale di partiti classificati come euroscettici «soft» (si vedano i “nostri” Cinque stelle) o «hard» (a cominciare dalla Lega) conquisterebbe oggi, a fatica, tra i 150 e i 170 seggi. Meno di un quarto delle 705 poltrone che saranno assegnate dopo il voto di maggio, il primo senza il Regno Unito e il suo drappello di parlamentari. La stima cala ancora nelle previsioni di altri istituti, ma non è detto che la contabilità dei seggi (e dei gruppi politici tradizionali) fotografi bene cosa potrebbe succedere prima delle elezioni di maggio.

Quegli (almeno) 100 seggi in odore di sovranismo

In effetti la stima di Politico.eu sembra quasi eccessiva, rispetto alla media di rivelazioni fiorite a poco più di un semestre dalle urne. Pollofpolls.eu, un portale che monitora l’evolversi delle intenzioni di voto in Europa, ridimensiona la quota di voti «sovranisti» a poco più di 100 unità: 57 raccolti dai partiti che confluiscono in Europe of nations and freedom (Europa delle nazioni e delle libertà, Enf, la famiglia europea della Lega) e 50 a favore delle liste collegate a Europe of Freedom and Direct Democracy (Europa della libertà e della democrazia diretta, Efdd, il rassemblement che ospita al suo interno i Cinque stelle). La parte del leone spetterebbe proprio all’Italia, con un totale di 28 seggi in arrivo dalla Lega e 26 dai Cinque stelle. Un’infornata di consensi a rinforzo delle due famiglie che contano fra le proprie file il Rassemblement national di Marine Le Pen, l’estrema destra tedesca di Alternative für Deutschland e altre sigle minori, ma abbastanza caratteristiche, come i polacchi di Nowa Prawica (un partito «radicalmente euroscettico» che invoca il ritorno alla pena di morte) e Svoboda a přímá demokracie, partito ceco da 1.400 iscritti che si batte soprattutto su contrasto a immigrazione e «islamizzazione del paese» (anche se non dall’Europarlamento, visto che alle scorse elezioni Ue il bilancio degli eletti è rimasto a zero).

A parte il nome, quasi identico, Enf e Efdd sono accomunate dall’unico fattore trasversale a tutte le sigle politiche racchiuse fra i due gruppi: l’euroscetticismo. La diffidenza per i «burocrati di Bruxelles», secondo alcuni analisti, potrebbe fare da collante e scavalcare le ostilità implicite a un gruppo composto da soli nazionalisti. A maggior ragione se la rivendicazione di maggiori poteri nazionali, altro cavallo di battaglia dei sovranisti, si traduce in progetti di «chiusura delle frontiere» e di freni sempre più rigidi alla libera circolazione delle persone.

Le basi comuni: euroscetticismo e anti-immigrazione

Resta l’handicap più evidente, quello numerico: si parla di coalizione che inciderebbe su un settimo o, al massimo un sesto, dell’Eurocamera. Poco per lasciare il segno, soprattutto se l’ambizione è di mettere mano sui principi fondativi del disegno comunitario. Ma c’è chi mette in guardia dalla semplificazione di considerare estremiste solo le forze che si qualificano esplicitamente come tali. Susi Meret, un’esperta di populismi in cattedra alla danese Aalborg University, fa notare che i comuni denominatori di euroscetticismo e campagne anti-immigrazione potrebbero gettare le basi per un’alleanza che superi la periferia destra radicale. Forze come il Rassemblement national (versione aggiornata del Front national di Marine) o il Danish people party, per citarne due, sono nel vivo di un processo di «normalizzazione» che corteggia il voto moderato. Senza contare che forze distanti dal perimetro del voto moderato, come Fidesz di Viktor Orban, restano stabilmente all’interno dei Popolari europei.

«Sono partiti che stanno cercando di rifarsi l’immagine, sdoganandosi verso nuove fette di elettorato – osserva Meret – Questo potrebbe portare alla creazione di coalizioni molto più ampie di quelle proiettate dallo status quo attuale». Sì, ma come si mette ordine fra partiti nazionalisti, per loro natura inclini a badare più agli interessi domestici che a disegni comunitari? Meret ipotizza che il cavallo di battagli condiviso sia quello di una «Europa minima»: svuotare l’Unione europea della sovranità acquisita su pilastri come giustizia, affari interni, immigrazione e, magari, gli stessi sistema Schengen e della moneta unica. Un progetto che soddisferebbe tutte le forze in campo, sorvolando i punti di attrito naturali. Ad esempio sui conti pubblici, terreno di scontro inevitabile fra il rigore del Nord Europa e le turbolenza del nostro governo per l’innalzamento del deficit. «Lì ci sarebbe sicuramente una forma di grosso contrasto – dice Meret- Che i nazionalisti vorrebbero risolvere portando la questione dei conti a un livello nazionale». Cioè fuori dai parametri di Maastricht. O, direttamente, fuori dall’Europa.

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