I costituenti americani inserirono, per la prima volta nelle leggi fondamentali di uno stato, una norma che affermava: «A tutti gli uomini è riconosciuto il diritto alla vita, alla libertà, e al perseguimento della felicità». Cosa sia davvero la felicità è difficile a dirsi, certo è che essa è sempre fuggente. Lo sanno bene gli italiani che, secondo la recente ricerca del Censis “Miti del rancore, miti per la crescita”, sono sempre più infelici, nutrono disagio per il presente ed hanno nostalgia del passato. E come dargli torto? Dopo le fantasmagoriche promesse di benessere diffuso che il capitalismo avrebbe prodotto e dopo gli straordinari propositi di un’Europa unita senza più confini e barriere, i conti con la realtà risultano essere ben diversi. Il capitalismo non ha mantenuto le sue promesse – abbiamo dimenticato che ha bisogno di regole nella finanza, come evidenzia la Crisi del 2008 – l’Unione Europea si è dimostrata un mostro burocratico e parametrico, incapace di rispondere ai bisogni reali dei cittadini.
L’eredità lasciata all’Italia dalla Crisi, evidenzia un paese incapace di investire nel proprio futuro, in cui rancore, chiusura e repressione, sono lo sfondo di una società che ha rinunciato a consumi e investimenti. Eppure, il collegamento tra felicità e consumo è presto fatto dal sistema capitalistico, grazie alla pubblicità. Il detersivo che finalmente toglie tutte le macchie, l’amaro da bere dopo la tempesta, l’olio a tavola che riunisce tutta la famiglia. No, signori! I consumi crescono difficilmente se non sostenuti da politiche monetarie espansive che facilitando l’accesso al credito, inducono a consumare di più, ad avere maggiori profitti e ad assumere nuova forza lavoro. Abbiamo dimenticato gli insegnamenti keynesiani per rispettare i vincoli europei, o per meglio dire tedeschi, a fronte di uno stock di debito, se pur importante come quello italiano, che altri stati come la stessa Germania, hanno visto in buona parte cancellarsi. Che ci chiamino anche “Pigs” da Bruxelles, del maiale non si butta via niente! La felicità e il benessere delle persone non si misurano solo con lo Spread, le agenzie di rating e i mercati.
Secondo il Censis, 7 italiani su 10 sostengono che si stava meglio prima. “Si stava meglio quando c’era la lira” è la vulgata dell’uomo di strada, spesso guardato con altezzosa superiorità dagli “intelligentissimi” burocrati ed economisti che predicano il Vangelo del 3% come medicina in grado di guarire tutti i mali del mondo. Eppure, i figli oggi infelici, hanno nostalgia del passato dei padri; della Ricostruzione, del Boom economico, della Vespa e della Cinquecento, delle vacanze e dell’Autostrada del Sole, di simboli italiani come Olivetti, Mattei e De Gasperi. 
Le disuguaglianze sociali intragenerazionali e soprattutto intergenerazionali, probabilmente, non sarebbero così marcate se la Sinistra in Italia non avesse perso la sua identità, rinunciando al compito di garantire l’uguaglianza delle prestazioni minime. La crisi sociale e l’inverno demografico in un paese sempre più vecchio – dal 1951 a oggi si sono persi 5,7 milioni di giovani – o a causa della “fuga dei cervelli” dei vari “choosy”, o perché ci sono sempre meno nascite in assenza di adeguate politiche per la natalità e la conciliazione cura-lavoro, sono tematiche che avrebbero dovuto interessare maggiormente i governi di Destra. 
Trovare una correzione alla rotta di collisione verso la quale procediamo è ancora possibile, se Europa deve essere che sia davvero Europa dei popoli e non quella della finanza e della burocrazia di Bruxelles. Un’ Europa capace di fronteggiare adeguatamente la globalizzazione e i giganti americani e cinesi. Per non gridare al complotto del sistema che ci rende infelici, dovremmo ricordarci, noi, in quanto cittadini depositari di un concetto ottocentesco, ma mai fuori moda come la Patria, di pensare sempre alla felicità, soprattutto quando votiamo.