La speranza perduta
Ho preso a prestito parte del titolo di un bel libro di Costanzo Preve e Luigi Tedeschi, che ben si presta per dare qualche risposta ai giorni che stiamo vivendo: se il responso degli elettori è stato chiaro – l’unica vera maggioranza politica è quella fra il M5S e la Lega, le altre profumano d’inciucio lontano un miglio – perché, negli ambienti di “palazzo” e sui giornali, si ha così paura a pronunciarla?
La risposta non è così semplice come pensiamo, e nemmeno riposa in una generica (anche se ovvia) “opposizione” dell’UE ad una simile soluzione della crisi politica italiana, poiché quando i birilli saltano è inutile cianciare – come fa Draghi – che “l’euro è una via senza ritorno” (o roba del genere), poiché le istituzioni comunitarie stanno in piedi finché le oligarchie delle singole nazioni ne hanno beneficio e, a loro volta, le oligarchie devono fare i conti con la volontà popolare. Possono cercare di dirigerla, ma mai possono negarla.
Ne sono un esempio lampante la vicenda greca: la quale, probabilmente, sfocerà nell’ennesima guerricciola fra Grecia e Turchia, tanto per “distrarre” il popolo greco dalla tragedia che sta vivendo. E per passare sotto silenzio la prova lampante del fallimento europeo.
Oppure, quella britannica: quando, per questioni geostrategiche, si ha la necessità di rendere più laschi certi legami (si noti la vicenda della ex spia russa avvelenata) con l’Europa Centrale, si fa un bel referendum in modo che s’accomodi tutto. Del resto, gli USA hanno tolto le castagne dal fuoco per due guerre mondiali a Sua Maestà Britannica, e la riconoscenza (interessata) è d’obbligo in diplomazia.
Questo, solo per dire che le oligarchie hanno sì molto potere, muovono denaro e servizi segreti, ma in casi come l’Italia hanno un certo riserbo ad intervenire, poiché la situazione è seria. Difatti, come noterete, la vicenda italiana viene quasi “sottovalutata” sui media europei (lo spread non s’è mosso, le fonti ufficiali tacciono) mentre in realtà preoccupa, e molto. Prima di procedere nell’analisi, diamo un rapido sguardo alle possibili soluzioni, che sono soltanto due.
Bisogna ancora, però, fare due conti in casa PD.
Il PD è un partito allo sbando, non in preda ad una crisi di nervi, bensì assalito dalle terribili convulsioni agoniche di un partito che, letteralmente, muore. La responsabilità è di Renzi, che ha tirato troppo la corda del suo elettorato, al punto da inficiare anche il pallido tentativo di Grasso & soci, ma anche di chi glielo ha permesso e, fino a ieri, lo osannava. Oggi, i 150 parlamentari del PD s’aggirano in un teatro vuoto, senza avere coesione interna né una guida autorevole che indichi la strada: 150 personaggi “in cerca d’autore”. L’unico, assiduo dilemma che intasa loro la digestione è come non far saltare per aria la legislatura, che per molti di loro significherebbe la fine della carriera parlamentare. Per questa ragione – passata la “colica” delle elezioni e preso un buon calmante – saranno a disposizione di chi promette di più, almeno in termini immediati (soldi, cariche, ecc), poiché di gettare lo sguardo oltre, ossia garantirsi una rielezione, è uno scenario non più attuale. Vedremo se ritroveranno la forza per presentarsi compatti – in questo caso potrebbe starci un accordo politico con altre forze – oppure se sarà dato il “rompete le righe” e finirà con un “ognuno per sé e Dio per tutti”. In ogni caso, la sorte della cosiddetta “sinistra” italiana è segnata.
Veniamo subito alle alchimie politiche:
1 – Il centro destra “assomma” una quota di ex parlamentari PD (più qualche “perduto”) e tira avanti come può: questa è la visione di Berlusconi, inutile ricordarlo, è il suo “pezzo forte” comprare e vendere braccia da lavoro. Chi avrebbe dei “mal di pancia” sarebbe ovviamente Salvini, al quale – per salvare la Lega e proiettarla nel futuro – non rimarrebbe che una scissione. Intendiamoci: una scissione simbolica, una decina di persone, tanto per poter fare un gruppo parlamentare e “salvare l’anima”. In questo, sarebbe facilitato dalle risultanze delle analisi del voto: solo il 20% degli attuali voti della Lega proviene dalla vecchia Lega Nord, ossia i “duri e puri” della Padania Libera, ecc. Come avevo già sostenuto in un precedente articolo, il premier potrebbe essere Maroni, uomo “non sgradito” al PD e gradito alla Lega, precedentemente (e stranamente) “ritirato” dalla corsa (vincente) per la Regione Lombardia.
Politicamente, questa soluzione è assai gravosa per tutti: per Forza Italia, che proseguirà verso un ulteriore degrado (potremmo azzardare “geriatrico”), per la Meloni e la sua pattuglia di “Italiani” che non si capirà più a chi e per cosa si rivolgeranno, ma soprattutto per la Lega la quale, a differenza dei due compari, ha un leader, ha portato qualche idea nuova ed ha superato la barriera del confinamento regionale al Nord.
Ciò che colpisce, e mi fa pensare che sarebbe lo scenario più gradito dalle oligarchie, è che questo accordo non prevede un coinvolgimento politicodel PD (che sarebbe difficilmente digerito dall’elettorato di destra e, contemporaneamente, più debole e controllabile): insomma, “responsabili” e nient’altro, in pieno accordo col lobbismo in auge nel Parlamento Europeo.
2 – Il M5S scende dal piedistallo e fa un accordo politico, di legislatura, con il PD. Non è una strada facile per due ragioni: per prima cosa ci sarebbero molte resistenze interne (che verrebbero “sanate” con una velocissima consultazione “on line”) ma, soprattutto, bisognerebbe trovare una controparte, ossia qualcuno che, nel PD, possa garantire solidità e serietà d’intenti. La differenza fra il centro-destra ed il M5S è tutta qui: mentre per la prima soluzione basterebbe un “accordicchio” senza tante pretese, nel secondo caso il M5S si gioca futuro e sopravvivenza politica, tutto sulle spalle di un Di Maio qualunque. Personalmente, la vedo molto dura e rischiosa proprio per i pentastellati, oltre che difficilmente praticabile: fino a ieri volavano insulti ed ora, tutti “responsabilmente”, assieme? Bisognerebbe che la fortuna (ciclo economico favorevole, accettazione del programma grillino, sfoltimento delle clientele elettorali, ecc) li assistesse fino alle prossime elezioni, altrimenti la fine che è oggi del PD, domani sarebbe del M5S.
La Lega merita un breve approfondimento. Oggi, forse, Salvini morde il freno nell’alleanza di centro destra perché è un fattore limitante per la “Nuova Lega”: basta riflettere su come la pensano, FI e Lega, sulla riforma Fornero e sui rapporti con L’Europa. Vorrebbe tornare al voto, e comprendiamo il suo desiderio: andare avanti da solo, senza gli impicci del vecchio ciarpame.
Ma, se Salvini fosse andato da solo – per come è stata congegnata questa legge elettorale – nei collegi uninominali del Nord (con Lega e FI divisi), in molti casi, avrebbe vinto il M5S ed avrebbe fatto veramente cappotto.
Se per il M5S è necessario un “bagno di realtà” per comprendere cosa significa governare un Paese, per la Lega è urgente un segnale di “novità”, ossia: fai parte anche tu del vecchio sistema oppure hai deciso di mollare gli ormeggi?
Come prima ricordavamo, c’è da chiedersi se l’impossibilità di un accordo M5S-Lega sia soltanto legato all’ostracismo delle oligarchie, preoccupate dalla quantità di “novità” messe in campo dalle due formazioni.
Io credo di no.
Non sottovalutiamo la portata di questa tornata elettorale, perché la novità non sta tanto nei numeri, quanto nel complesso numeri/idee: in nessuna tornata elettorale europea c’è stato un plebiscito così chiaro contro la gestione europea (Podemos non ha mai “potuto”) soprattutto se ciò avviene nella terza economia europea.
La calma, solo apparente, di Bruxelles – il fastidio mostrato da Juncker ad un giornalista che domandava lumi – tradiscono una sensazione di timore: la paura, in futuro, di non riuscire più a controllare l’Italia come stanno facendo con la Grecia.
In questo – dobbiamo dire – le burocrazie europee hanno commesso lo stesso errore di Renzi: hanno tirato troppo la corda, e se ne sono accorti. Possiamo attenderci un miglioramento delle condizioni economiche? Vedremo, dipende se sceglieranno il bastone o la carota, o se il mix farà pendere più la bilancia verso quest’ultima.
Perché, nonostante gli sberleffi che rivolgono alla nostra Nazione, siamo così importanti?
Oltre ad essere la terza economia europea, l’Italia è la via più breve fra la penisola iberica, il meridione francese e l’Est europeo. Sono questioni strategiche, legate alla delocalizzazione della produzione: sono soldi.
Provate a pensare ad un autotreno catalano che debba recarsi a Bucarest (tratta molto comune) e debba scegliere un altro percorso: dovrebbe salire fino a Basilea e, da lì, scendere in Baviera per proseguire attraversando l’Austria e un pezzo d’Ungheria.
Ma, nel caso l’Italia uscisse dall’UE, non ci sarebbe mica la chiusura delle frontiere! Dirà qualcuno.
Certo che non ci sarebbe.
Ma una nazione sovrana dovrebbe, per forza, controllare nuovamente le frontiere, magari imporre dei dazi doganali, ispezioni, controlli, limiti di velocità (da rispettare!)…insomma, inevitabile burocrazia. E i porti? Sapete cosa significa la burocrazia nei porti, se presa alla lettera?
Non per nulla i tedeschi hanno costruito (dopo il 1999, guerra del Kosovo) – a loro spese – la nuovissima autostrada Fiume – Dubrovnik, che arriva praticamente in Montenegro. Si sono creati una possibile alternativa (i porti della costa dalmata), per ovviare alla misera faccenda che dopo la 1° GM avevano perso (Austria-Ungheria) quei territori, poracci…
Insomma, per il Nord Europa che ci qualifica come PIIGS, è giunto il momento d’iniziare a riflettere: può darsi che questa volta riescano a sfangarla con le ipotesi 1 e 2 ma, alla prossima, calerebbe sicura la mannaia.
Ma noi, siamo pronti?
La risposta e no, senza nessun dubbio.
La vulgata imperante ci propone due forze, il M5S e la Lega, che non possono andare a braccetto per vari motivi: attenzione, è vero.
Tutto questo rimarrà vero fin quando guarderemo alle forze politiche con la vecchia ottica destra/sinistra, e le stesse forze politiche saranno condizionate da questo schema, un cane che si morde la coda. Volete qualche esempio?
Si narra che il M5S sia una forza “assistenzialista” – osservate: sembra proprio una critica che viene da “destra” – e la Lega un raggruppamento “forcaiolo”, specularmente una critica di matrice “sinistra”.
Si omette, invece, un altro dato: la Lega ha portato in Parlamento due economisti non certo ortodossi come Borghi e Bagnai, mentre il M5S ha portato Fioramonti e Roventini, entrambi su posizioni keynesiane. Insomma, la linea economica dei due partiti converge su una linea di “deficit spending” (proibita dall’UE, schiava dei dettami della cosiddetta “scuola di Chicago”, ossia Friedman) e sulla ri-definizione degli accordi di Maastricht, ossia su posizioni di serrata contrattazione, contrapposta alle varie proposte fallimentari di Bruxelles, il potere salvifico dell’austerità, ad esempio.
Vorrei far notare la differente natura del problema italiano: a differenza della Gran Bretagna – nell’ultimo secolo, la “perfida Albione” ha compiuto più di un “giro di walzer” con l’Europa Centrale, ed altrettante volte se n’è staccata – noi non discutiamo la nostra appartenenza alla Comunità Europea: semplicemente, non ci stanno bene le modalità scelte. O discutiamo seriamente ed alla pari, oppure ce ne andiamo.
Qui, il “sentire” dei due movimenti è abbastanza comune, completamente all’opposto del resto del parlamento.
Sul Reddito di Cittadinanza del M5S – che vero RdC non è, ma un semplice assegno di disoccupazione – bisogna riflettere che l’Italia è l’unico Paese industriale dell’Europa a non avere un sistema di protezione sociale, un assegno di disoccupazione che non lasci nel vortice della tragedia le famiglie italiane. E’ civiltà averlo, è sicurezza averlo, è progresso averlo.
Poi, modalità e bilanci li lasciamo agli economisti: sta a loro decidere se avallare i sempre più alti (e sempre più inutili, perché mal fatti) investimenti per la Guerra oppure deviare il flusso sulla sicurezza sociale. Queste elezioni, mi sembra abbiano parlato chiaro: nessuno vuole del semplice “assistenzialismo”, ma ricordiamo che Germania, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti qualcosa del genere ce l’hanno da decenni.
Così è per la questione dei migranti: identiche contrapposizioni da campagna elettorale, perlopiù appoggiate su dati fuorvianti: vorrei sapere quanti, fra quelli che hanno votato Lega, li conoscono. Sono l’esatto contrappunto di quelli che si sono recati ai CAF per ricevere – subito! – il RdC grillino.
Vediamo i dati (fonte: UNhcr): nell’intero 2017 sono sbarcati in Italia 111.247 persone, 29.718 sono sbarcate in Grecia e circa 22.000 in Spagna. Considerando l’intera Europa, sono giunte 171.332 persone, 5022 sono annegate nel Mediterraneo.
Non mi sembra proprio un’invasione: nel frattempo, nel 2017 abbiamo avuto un saldo demografico negativo di ben 183.000 persone (fonte: Wikipedia).
Dov’è il problema?
Il problema, molto semplice, è che quelle 111.247 persone rappresentano circa il 65% delle persone sbarcate in Europa, e sono rimaste in Italia! Se fossero state distribuite sull’intera popolazione dell’UE, ne sarebbero rimaste circa un decimo, e nessuno se ne sarebbe accorto, poiché diecimila persone sono funzionali alle dinamiche occupazionali italiane. Non nascondiamoci che i giovani italiani certi lavori non li vogliono proprio più fare.
Così, abbiamo dovuto goderci pure il sarcasmo di Macron: “Eh, se gli italiani non sono capaci di proteggere le loro frontiere…” Cos’abbiamo risposto? Abbiamo chinato il capo ed abbiamo inviato 500 soldati in Niger – questa dovrebbero proprio spiegarcela – forse per sorvegliare meglio le miniere francesi di Uranio? Lavoriamo per Areva? Quanto costerà la missione?
“Le missioni in Niger, Tunisia, Libia…costeranno 125 milioni per il 2017…tuttavia, occorrerà reperire entro il 30 settembre 2018, con un ulteriore apposito provvedimento normativo, ulteriori 491 milioni di euro…” Fonte: Today).
Come notate, nessuno fiata per inviare soldati in Africa per avere una fetta di torta, salvo poi stracciarsi le vesti se gli abitanti se ne vanno. Ah, la Lega si astenne su questo provvedimento, il M5S e LeU votarono contro.
E nessuno si meraviglia e s’incazza se spendiamo mezzo miliardo di euro per mandare i soldati in Niger, no: soltanto per i migranti.
Quel mezzo miliardo, lo pagheremo noi: vedete dove non siamo uniti? Vedete dove la vecchie abitudini destra/sinistra ci calano addosso?
Per essere più realisti del Re, possiamo notare che quel mezzo miliardo sarà, probabilmente, un investimento per l’ENI o magari per ricevere appalti, altro ancora…ma non lamentiamoci, dopo, se arriva della gente, perché siamo là per saccheggiare risorse africane! Gheddafi s’opponeva a tutto ciò: com’è finito?
Varouflakis, ex ministro dell’Economia greco, ha un’opinione drastica sul futuro italiano:
“…grillini e leghisti sono destinati a ripetere lo stesso errore di Renzi. La fine possibile, insomma, è che una volta al governo i partiti “anti-sistema” si ripieghino nel sistema, come accadde a Tsipras…è il destino di qualsiasi politico a cui mancano una proposta completa su come ridisegnare la Zona Euro e il coraggio di dire no a Berlino e Francoforte quando la proposta viene respinta”.
Facciamo pure la tara a Varouflakis (qui generalizza, come se l’esperienza greca fosse la maledizione di Giove che colpisce urbi et orbi), però indica proprio il rischio che corriamo (alleanze a destra o sinistra, poco importa), ed il rischio è proporzionale alla mancanza di consapevolezza della popolazione su cosavogliamo, e su come desideriamo venga attuato. A Varouflakis potremmo, però, ricordare che l’Italia non è la Grecia: siamo la terza economia europea, il secondo apparato industriale, abbiamo decine di porti e commerciamo con tutto il Mediterraneo ed oltre.
Il concetto “qualsiasi politico a cui mancano una proposta completa su come ridisegnare la Zona Euro e il coraggio di dire no a Berlino e Francoforte” mi sembra un poco eccessivo: qualsiasi progetto nasce da precedenti accordi, ed ogni accordo è generato da lunghi incontri e confronti. Proprio quello che non avvenne per la nascita dell’UE: decenni al passo di tartaruga, poi l’improvvisa accelerazione dovuta al crollo dell’URSS, infine il raffazzonato “allargamento” per sfruttare il “sonno” ex sovietico, l’era di Eltsin. Anche per nuove politiche, nuovi accordi, nuovi scenari…ci vuole tempo. Ma ci vogliono nuove politiche, nuovi accordi e nuovi scenari.
E domandiamoci, infine, com’è stato possibile un tale rivolgimento.
Tentano di dipingerlo con i colori del “Ancien Régime”, ma da ogni parte c’è un pezzo che non collima più, qualcosa che non funziona…in fondo, le prima parole pronunciate da Di Battista sono le più vere “Oggi è nata la Terza Repubblica, la Repubblica dei cittadini”. Punto e basta.
Come è riuscita a nascere? Quali sono stati i prodromi?
Tutto è nato circa una quindicina di anni fa, con l’accesso di molte persone a nuove piattaforme d’informazione, piattaforme che sono state accettate con alzate di spalle dall’informazione “paludata”: loro, con i loro direttori responsabili, con le loro “gavette” per arrivare a scrivere i necrologi, con i loro giochi al vertice per le direzioni dei quotidiani…ascoltavo Calabresi e mi pareva di sentire un Papa…tutto al macero: oggi, se la carta stampata sopravvive, lo deve alle edizioni Web.
Una marea d’informazione incontrollata ed incontrollabile – solo, purtroppo, limitata dalle diverse lingue – e, oggi, abbiamo accesso ad un colossale “doposcuola” che ci racconta tutto di tutto, che ci può informare, presto e bene, ed è una comunicazione a due sensi: si legge, si ragiona, si commenta. Certo, le nostre capacità critiche sono messe a dura prova, ma…i risultati si vedono!
Forse, oggi, i nuovi partiti hanno bisogno di strutture più agili per percepire i bisogni – ma anche le proteste o le idee – dell’elettorato, perché fatto di cittadini, prima che elettori.
Queste strutture dovranno per forza nascere, poiché sono l’anello mancante, nel nostro Paese, fra la fase decisionale (la Politica, il governo, ecc) e la base che non accetta più di ricevere per “gentilezza divina”.
Esistono sì delle “fondazioni” ma hanno l’unico scopo di fare lobbismo, oppure di fungere da strutture “coperte” per ricevere fondi: mai nulla di veramente utile, nel senso di cultura, idee, proposte, esce da quei luoghi.
Potranno essere nella forma dei “Think Tank” americani, ma non legati alle lobbies con il collante fiscale, bensì libere da ogni imposizione: magari sovvenzionate, sulla base della cultura (utile, vera, praticabile) e “raffinate” dal Parlamento per farle diventare leggi.
Hanno finanziato la stampa per decenni, al solo scopo d’imbrigliare il Paese in una rete di menzogne ben congegnate, nulla vieterebbe di sovvenzionare chi produce cultura, innovazione, in tutti i campi: oggi è ancora troppo presto per parlarne. O no?
Di certo, migliaia, milioni di siti e blog hanno generato questo fenomeno: di questo sono arcisicuro. Per questo sono poco interessato alle mille alchimie che i giornali intessono per far ri-precipitare il nuovo nel consueto, nell’ovvio, nel “responsabile”. Roba vecchia, non più attuale.
Conoscere, informare, è la base del progresso: il solo progresso tecnologico non basta, poiché se l’innovazione tecnologica ci cambia, produce dei mutamenti sociologici e tali cambiamenti è possibile governarli, al meglio, solo con la conoscenza ed il confronto.
Per concludere, mi torna alla mente la Rivoluzione Francese, laddove l’Illuminismo “bruciò” in pochi decenni secoli d’oscurantismo: in questo, aiutato da Luigi XVI, che investì parecchio nell’istruzione. Paradossale, vero?
Contraddizioni del capitalismo: ha avuto bisogno della rivoluzione informatica per controllare meglio il Pianeta e, proprio da quella rivoluzione, nasce l’istanza che chiede più diritti, per semplice diritto di nascita. Curioso, vero?
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