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venerdì 9 marzo 2018

Cosa c’è dopo Renzi?


DI EUGENIO ORSO
comedonchisciotte.org
Renzi a sciare, Renzi che dà e non dà veramente le dimissioni, la sua appendice “garbata” Gentiloni che resta in carica sine die, tutto “nelle mani” del grigiore fatto persona, Sergio Mattarella, resa dei conti nel piddì, eccetera, eccetera. Questo riportano i media omologati, altrimenti detti presstitute, in relazione alla tormentata vicenda politica italiana.
Giunti a questo punto, propongo di andar oltre la squallida figura sub-politica del treccartaro/ex enfant prodige fiorentino, emerso con la Ruota della Fortuna di Mike Bongiorno. Il neo-mostro di Scandicci e Rignano non sarà più determinante negli assetti politici come in passato, nonostante le dimissioni “a scoppio ritardato” dalla segreteria.
Archiviato Renzi, in prospettiva futura e nel medio periodo, vorrei sollevare un paio di questioni e fare un paio di ipotesi, a seguire.
Premetto che astraggo da giudizi di valore e dalle aspettative politiche che ciascuno di noi cova (quindi anch’io).
– Il primo punto riguarda i limiti del consenso del 5S(stalle) e della Lega 2.0, in salsa nazionale salviniana, nonché le loro future possibilità di crescita in termini di consenso elettorale.
Il 5S in Italia meridionale sembra aver già toccato il massimo dei consensi o quasi, con percentuali altissime, da super-Dc interclassista resuscitata. Al sud, i margini di miglioramento dei risultati elettorali futuri mi sembrano, perciò, piuttosto ridotti. A questo proposito, non vorrei essere nei panni dei pentastellati e del giovinetto Di Maio, se con il 5S al governo il reddito di cittadinanza dovesse rivelarsi un bidone, perché è principalmente quello (ci scommetterei) che ha determinato il consenso sudista per gli ex grillini, sostituto più corposo ma non meno neoliberista degli ottanta euro renziani.
Al centro-nord 5S ha incontrato alcuni ostacoli – la Lega e il CD a trazione leghista, la persistenza in alcune aree del piddì e delle sue clientele – che difficilmente riuscirà a superare nel medio-breve periodo.
Più in generale, credo che il 5S, se crescerà, crescerà ancora di poco, o piuttosto, dopo una disastrosa esperienza di governo, rifluirà con una certa rapidità come la marea.
In ogni caso, gli oramai ex grillini potranno giocarsi la loro ultima carta, cioè il falso rivoluzionario Agitprop con megafono incorporato, Alessandro Di Battista, il quale tiene in caldo il secondo mandato, se l’istituzionale Di Maio fallirà … Data la personalizzazione della politica minore liberaldemocratica, potrebbe contare qualcosa.
Per la Lega in salsa salviniana, invece, il discorso è diverso.
A nord ha sconfitto i forca Italia di Silvio Berlusconi, che aveva come scopo quello di sabotare Salvini e Meloni, preparando il terreno alla Große Koalition con il piddì renziano e i rimasugli centristi di Cdx e Csx. Per quando riguarda le regioni del settentrione, la Lega nazionale ha ancora grandi margini di miglioramento, se non altro perché Berlusconi, nella sua ultima battaglia, è stato sconfitto da Salvini, è molto vecchio, sempre più penoso e, si sospetta, affetto da demenza senile. Se non prossimo alla fine biologica (cosa che sarebbe più che possibile, vista l’età) Berlusconi sembra finalmente molto vicino alla definitiva uscita di scena. Ironia della sorte, non è stata la sinistra a scavargli la fossa, ma il contributo determinante di un suo alleato storico. Va da sé che senza di lui i forcaitalioti non avranno alcun futuro e saranno costretti a sbaraccare, in tempi piuttosto brevi. La Lega pescherà qualcosa anche dalla possibile dissoluzione del piddì nel settentrione, e potrebbe rafforzarsi oltre misura, in “Padania”, se i 5S daranno una pessima prova di governo (cosa abbastanza probabile).
Al centro, nelle regioni dette impropriamente rosse – che tali non sono se non di vergogna da circa un trentennio – in futuro la Lega potrebbe fare il pieno di consensi, perché là la completa dissoluzione del piddì e dei sinistroidi libererebbe barche di voti da contendere al 5S, come l’osso fra due cani.
Al sud e nelle isole, infine, c’è per la Lega – ma solo per quella di Salvini, non in altre versioni – una marea di voti da conquistare in futuro. Il 5S ha fatto il pieno, in queste politiche, e se fallirà con Di Maio non riuscirà trattenere i consensi dei meridionali, i quali potrebbero in parte astenersi e in parte come ultima scommessa votare Lega, che già oggi può contare su un certo numero di esponenti “terroni”, legati al territorio e alle comunità locali. La disperazione delle popolazioni, alla base del voto sudista ai 5S, accelera sia i cambiamenti che i disastri …
Morale della favola, la Lega ha più margini e probabilità di crescita, in termini di voti, di quanto ne abbia il 5S e se non si brucerà con governi “di scopo”, “del presidente”, o “grosse coalizioni” inciuciose, può essere che tiri la volata nel medio periodo agli ex grillini, temporaneamente “primo partito” con il semi-proporzionale. A mio sommesso avviso (ma non tanto sommesso) Salvini non dovrà cadere nella trappola di Di Maio, quella di un possibile governo di scopo 5S-Lega per fare la legge elettorale e andare subito al voto (Mattarella permettendo). Di Maio finirebbe per fare la parte del leone, relegando Salvini al ruolo di “portatore d’acqua anche con le orecchie”.
Di più, per assicurarsi la possibilità di un roseo futuro, Salvini dovrebbe dare il colpo di grazia a Berlusconi abbastanza in fretta, come ha fatto a suo tempo con l’invalido Bossi. Così, fra l’altro, non vi saranno più sabotaggi, come quello alle comunali di Roma del 2016, con la ridicola candidatura berlusconiana di Bertolaso (sostituito, poi, dal perdente Alfio Marchini), oppure come quello in regione Lazio, con la candidatura dello scialbo “moderato” Parisi, regalando l’unico successo al piddì il 4 di marzo, o le difficolta come quelle in corso per le prossime regionali del Friuli Venezia Giulia, con la pretesa forcaitaliota di decidere il “governatore” della coalizione di Cdx (Riccardo Riccardi) nonostante il voto a valanga alla Lega.
Infine, l’abolizione della legge Fornero s’ha da fare, più della flat tax, perché assicura milionate di consensi ed è perciò vitale per la Lega.
– Il secondo punto è il destino dell’entità sub-politica collaborazionista del Pentagono e della toika chiamata piddì (Non quello di Renzi!).
La sua fine non è scontata, come crede qualcuno perché i partiti “socialisti” tendono a scomparire in tutta Europa, ed è meglio, perciò, non dare il piddì per morto prima di averlo definitivamente seppellito. Colpi di coda sono sempre possibili, soprattutto nelle situazioni di crisi e di difficoltà sociale che ancora si prospettano, con possibili ricatti da parte del complesso Ue/troika/Mercati finanziari.
Teniamo conto che il piddì ha ancora tante tessere e tante clientele, essendo l’unica entità diffusa capillarmente sul territorio nazionale con covi/circoli a migliaia, oltre ad aver avuto negli ultimi anni il supporto delle presstitute italiane ed estere, delle grandi banche d’affari, da Goldman Sachs a JP Morgan, della troika, della Merkel, del Pentagono e della Cia. Tutto ciò che c’è di maligno e canceroso in occidente ha sostenuto il piddì … E potrebbe farlo ancora, in futuro.
Tuttavia, dopo il 4 di marzo le prospettive piddiote sono diventate piuttosto nere:
– Nel caso i piddioti abbocchino all’esca pentastellata di Di Maio, appoggiando dall’esterno un governo 5S, faranno la fine del sorcio. 5S li stritolerà, sottraendogli ancor più voti e facendoli collassare, forse addirittura fagocitandoli, o almeno incamerandone una parte dei rimasugli, in termini di voti. Non a caso dopo il voto s’insinua che il testimone della sinistra sarebbe passato dal piddì al 5S (i liberti e ungulati/LEU del 3% non contando un cazzo).
– Nel caso in cui si alleino con la cosiddetta destra, a trazione leghista, si spalerebbero da soli la terra sulla bara, com’è facile da capire senza che serva andar oltre.
– Nel caso che ripieghino su questioni e beghe interne, riguardanti la segreteria nazionale, la direzione del partito, la presidenza dei gruppi parlamentari, in una battaglia di retroguardia fra renziani, orlandiani, franceschiniani, lettiani, lettiere, alieni, eccetera, li possiamo già dare per morti e sepolti, cum magno gaudio.
– Nel caso che facciano di tutto per ostacolare la nascita di un nuovo esecutivo senza di loro, magari servendosi di Mattarella e giocando sporco, finiranno ugualmente nella merda, senza possibilità di recupero.
L’unica possibilità che i piddini hanno di sopravvivere è al punto 5:
– S’avanza uno strano soldato e … prende la tessera del piddì. Carlo Calenda non è Renzi, non è Bersani, non è Cuperlo e non è neppure Franceschini. Calenda è uno pericoloso perché credibile, serio almeno in apparenza, disposto all’autocritica, nonostante sia stato in Italia Futura del vanesio Montezemolo, in sciolta civica di Monti e abbia sostenuto +Europa della radicaloide-europoide Bonino. Come vice-ministro dello sviluppo economico, con delega al commercio estero, ha mostrato favore per la svendita di aziende italiane ai grandi capitali stranieri. Come ministro dello sviluppo economico, il manager d’artistica schiatta (la madre è Comencini), si è messo in luce per la gestione di innumeri tavoli di crisi, dovuti proprio al grande capitale straniero acquirente che delocalizza, l’ultimo dei quali sotto i riflettori è stato Embraco-Whirlpool. Tuttavia la sua immagine pubblica è buona, non commette errori di comunicazione, non trasuda egocentrismo, arroganza, autoritarismo, mostra un po’ di intelligenza politica in ciò che dice. Bella e simbolica la mossa di tesserarsi nel momento di massima difficoltà. Uno così, se riuscisse a prendere in mano il piddì forse potrebbe evitarne la morte, senza rinunciare completamente a una linea politica, imposta dall’esterno, filo-troika, filo-liberista, filo-plutocratica al cubo. Infatti, non vuole inciuci di governo con 5S, ancor meno con il Cdx a trazione salviniana e si opporrebbe al ripiegamento su questioni di potere interne/resa dei conti con i renziani (dei quali non fa parte). Attenti a costui, che potrebbe rivitalizzare il piddì, dopo averne scalato i vertici!
Prima di togliermi dalle scatole, lasciatemi precisare che io non ho votato il 4 di marzo e visti i risultati elettorali inconcludenti, sono lieto di non averlo fatto.

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