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mercoledì 7 marzo 2018

Dead Men Walking

Ho spento la Tv ed ho fermato il collegamento Internet: mai, come in questo momento, c’è bisogno di ragionare su quanto è capitato in una notte – onomatopeico – molto “stellata”. Il successo del M5S non è una novità, non sappiamo ancora quanti parlamentari avrà con precisione, ma il dato è certo: nessuna maggioranza (coerente) ci potrà essere senza di loro, e questo sarà un problema per Di Maio & soci, ma diamo tempo al tempo.
L’altro dato è l’affermazione della Lega, che vede ora Salvini – un ottimo capopopolo – alle prese con una partita difficile, poiché dovrà pensare come uno statista.
Non dimentichiamo una prece per i due scomparsi dalla scena politica: padre e figlio – seduti su scranni solo apparentemente opposti – sono stati cancellati dall’abbecedario della politica italiana. Sparisce la P2 di Silvio Berlusconi e la Massoneria di Matteo Renzi, anche se, nella roccaforte fiorentina, riescono almeno a mandarlo in Parlamento. Paradosso: Renzi entra finalmente in Parlamento soltanto per spazzare i cocci e gettarli nella pattumiera.

Altra domanda: la Mafia ha votato?
La Mafia vota sempre, ma ha puntato – in una complessa trattativa con il potere politico, nella quale è oramai difficile tracciare il confine fra cooptati e cooptanti – sul cavallo sbagliato, perché uomini cresciuti alla scuola dei Riina e Provenzano non hanno potuto comprendere la portata del mutamento in atto, si sono sentiti “coperti” dalle mille proficue “collaborazioni” con gli ultimi scagnozzi del potere e non sono stati in grado di capire che erano soltanto più vuoti simulacri.

E’ giusto parlare di rivoluzione, perché il popolo ha premiato le uniche forze che introducevano nel discorso politico termini nuovi: il reddito di cittadinanza, l’Europa e l’Euro, la fine delle varie “austerità”…insomma, un percorso di uscita per un’Italia – la terza economia europea – che non ci sta a scendere nell’Averno dei vinti senza combattere.
E’ lì da vedere: l’unica maggioranza politicamente coerente è una costosa, per entrambe le forze politiche, franca consultazione fra il M5S e la Lega. Costosa perché?

Poiché entrambe le forze politiche dovranno concentrarsi sui punti salienti che le accomunano – la questione europea in primis – ed abbandonare le frange più estreme dei loro schieramenti (razzismo o pietismo, supremazia del Nord o visione unitaria del Paese, ecc). Questioni, a ben vedere, che nascono entrambe da un’assurda costruzione europea: i migranti giungono in Italia, ma gli altri Paesi “fratelli” chiudono le frontiere e non li vogliono. “Concedono” all’Italia d’indebitarsi per sopperire al problema.
Anche la questione settentrionale nacque da un’idea del sen. Miglio (poi di Bossi): sganciare il Lombardo-Veneto dalla Nazione. Fallita poi perché nessuno in Italia voleva imbracciare le armi per difendere la secessione. Oggi, all’interno della Lega, sono soltanto più 1/5 gli “irriducibili” legati a quegli scenari: i tempi cambiano, le generazioni passano.

Il M5S ha commesso, a mio modo di vedere, un errore presentando anzitempo la squadra di governo ed affermando che potevano accettare soltanto appoggi esterni, senza ministri altrui: uno scenario ben difficile da immaginare. Con Bagnai e Borghi lasciati fuori della porta?

La vera novità di queste elezioni non è tanto la caduta agli Inferi del PD (ampiamente prevedibile), bensì il modificarsi dei rapporti di forza all’interno della “destra” italiana: voglio precisare che userò ancora i termini “destra” e “sinistra” in modo strumentale, laddove occorrerà precisare alcuni passaggi.

Qualcuno, in un articolo, pavesava il rischio che il 99% degli elettori finisse per votare l’1% delle oligarchie: precisiamo, se seguiamo la distribuzione dei redditi in Italia secondo l’indice di Gini, dobbiamo parlare di 10% che possiede il 50% della ricchezza, e del restante 90% al quale resta il rimanente 50%.
Ebbene, fra Forza Italia e la Lega s’è visto chiaramente come la dicotomia di un’alleanza innaturale (secondo le istanze populiste) è franata: con Forza Italia sono rimasti (grosso modo) quei 10 italiani su 100 che desideravano mantenere la propria ricchezza, mentre chi non aveva quei redditi si è spostato verso Salvini. Il quale, a sua volta, aveva tolto quel ingombrante “Nord” dal simbolo e ne ha tratto, inevitabilmente, frutti.

Se seguiamo i flussi elettorali, notiamo che il M5S ha guadagnato molti consensi in aree prima del PD, mentre la Lega ha fatto lo stesso con Forza Italia.
Oggi, 5 Marzo 2018, possiamo verificare il fallimento d’entrambe le aree interclassiste: una legata al potere finanziario ed industriale del Nord, l’altra più radicata nel mondo delle amministrazioni pubbliche. Ma, entrambe – seppur con valori diversi – garantite, in un panorama di grande incertezza economica sociale.
“It’s economy, stupid!”: con questa frase, sappiamo, Clinton vinse su Bush padre, e non va dimenticata.

All’interno del PD – grande “bestione metaforico” (come definì il compianto Preve l’allora PCI) – la “tenuta” è venuta meno, perché soprattutto i giovani hanno provato sulla loro pelle le ferite del liberismo imperante, liberismo che i vertici del partito avevano sposato.
Così, molti ex votanti di Forza Italia hanno ritenuto più “rassicurante” gettarsi su Salvini, che prometteva l’abolizione della Fornero (che corrisponderebbe a maggiori ingressi dei giovani nei posti di lavoro lasciati dai padri).

Ma, inutile girarci attorno, le due forze sono legate soprattutto dal comune approccio verso politiche keynesiane di deficit spending, che consentirebbero al volano dell’economia di riprendere a girare, con valori ben più alti rispetto ai soliti 1,qualcosa ai quali siamo abituati. Ma l’Europa è contraria, questo è una dato assodato.

Fare un governo M5S-Lega? E’ probabilmente l’unico possibile, ma sarebbe un governo fuori controllo rispetto ai paradigmi esistenti: un governo che potrebbe chiedere un referendum consultivo sulla questione europea per poi, magari, aprire un franco (senza tante manfrine) confronto per la revisione dei trattati di Maastricht. Se fallisse questo approccio, l’uscita dall’UE e dall’Euro sarebbe inevitabile.

Entrambe le forze politiche hanno, però, al loro interno forti resistenze dovute a diffidenze reciproche, dovute ad un passato che pesa, a tradizioni molto diverse: in altre parole, questo risultato sembra essere arrivato troppo presto ma, d’altro canto, rappresenta la misura di quanto gli italiani sono stufi.

Altre soluzioni?
Un’ammucchiata generale – una convention ad escludendum contro il M5S – la vedo molto peregrina: forse il M5S gradirebbe tornare al voto fra un anno e, allora, fare veramente cappotto. Ma gli altri non sono così scemi: oggi, Renzi e Berlusconi hanno puzza di morto addosso mentre conservano una discreta spocchia, alla quale pochi credono ancora.
Meglio, allora, andare all’opposizione e cercare di frantumare i due nuovi partiti coalizzati facendo leva sulle loro contraddizioni interne.

Un sostegno di tutti al governo Gentiloni?
A cosa servirebbe? A mostrare ancor più la condizione dell’Italia, non più in grado di gestire le proprie difficoltà interne? Un bel biglietto da visita!

Sul tavolo del Presidente della Repubblica s’accumulano carte su carte, e sono tutte poco gradite da quel vecchio democristiano che è Mattarella. Un Presidente che si è mostrato assai debole, oggi, si trova fra le mani una delle patate bollenti più scomode del dopoguerra. Cosa s’inventerà?

Difficile dirlo, ma una cosa è certa: Mattarella dovrà lasciare i sicuri ormeggi di una politica segnata da un tran-tran quotidiano prevedibile e facilmente gestibile. Il “nuovo” è giunto, improvvisamente, come, in tempi antichi, il cavaliere che bussa alla tua porta per chiederti se sei pronto a metterti alla testa dell’esercito, pronto a partire.
Ne avrà la forza? 

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