ITALIA: IL CIMITERO NUCLEARE
di Gianni Lannes
In una frase: sporchi affari sulla pelle degli italiani; senza contare rischi e pericoli per la salute della popolazione. Quali sono le aree potenzialmente idonee ad accogliere il deposito unico di rifiuti radioattivi? Il governo Gentiloni come i precedenti soprattutto l’esecutivo Renzi, non lo vuole rivelare e ne ha fatto un segreto di Stato, anche se non apposto formalmente dall’inquilino senza mandato elettorale di Palazzo Chigi.
«La CNAPI sarà pubblica entro settembre 2017» aveva detto Carlo Calenda in commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti nel corso dell’audizione datata 27 giugno 2017. Ora il ministro pro tempore Calenda ha reiterato la promessa. C’è da credergli? Nel frattempo, mentre la Sogin dilapida impunemente dal 1999 il denaro pubblico (accertamento della Corte dei Conti) degli ignari contribuenti, i depositi temporanei di scorie radioattive aumentano a dismisura. Attualmente se ne contano ben 22 temporanei e 7 definitivi, senza annoverare quelli gestiti direttamente dalle ecomafie nelle cave dismesse e in fondo al mare (Tirreno, Jonio e Adriatico) in collaborazione con i servizi segreti italidioti. Una modalità scoperta dal capitano della Guardia Costiera di Reggio Calabria, Natale De Grazia, assassinato il 12 dicembre 1995 (mediante avvelenamento accertato dall'ultima autopsia), mentre indagava sull’affondamento sospetto di 180 carrette del mare, inabissate dolosamente.
Senza contare i quasi 550 metri cubi annui di scorie radioattive prodotte dalle attività industriali e mediche. Eppure il ministero dello Sviluppo economico (Mise), insieme all’Istituto per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) e a Sogin - la società pubblica che si occupa del decommissioning(smantellamento) nucleare - discutono a porte chiuse, in violazione della Convenzione di Aarhus (ratificata dalla legge italiana 108/2001). a porte chiuse. Tanto che la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi), ossia le mappa con i luoghi italiani che rispettano i criteri per ospitare il deposito, è tenuta sotto chiave e bollata ufficiosamente come “segreto di Stato”. Nonostante comunità locali, cittadini e comitati vogliano sapere se il deposito si troverà nella loro regione e la Cnapi debba essere pubblicata prima di decidere dove sarà costruito la discarica nazionale, da gennaio 2015 l’elenco dei siti potenzialmente adatti ad accogliere le scorie nucleari italiane è un documento fantasma.
Il 22 giugno 2017 il deputato del partito democratico Angelo Senaldi ha presentato un’interrogazione, che a tutt’oggi, a legislatura scaduta, non ha mai avuto una risposta dal governo Gentiloni.
È evidente che scelte di questo tipo non possono essere fatte senza una condivisione con il territorio . Ora, eliminando i territori sismici e quelli altamente urbanizzati e a rischio idrogeologico, solo per elencare alcune delle caratteristiche che il luogo che accoglierà il deposito non potrà avere, i migliori candidati potrebbero essere il Nord e la pianura Padana. nessun politicante italidiota eterodiretto da interessi affaristici vuol rischiare di perdere consensi. Ne consegue che la scelta ricadrà più su aspetti sociali che tecnici, ovvero il deposito sarà costruito nel luogo in cui il conflitto sociale e lo scontro con l’opinione pubblica sarà più basso. Il deposito nazionale, secondo il progetto sulla carta verrà accompagnato dalla creazione di un Polo tecnologico di natura ancora non precisata. Si tratta delle compensazioni da offrire a chi affitterà per tre secoli i circa dieci ettari necessari al deposito.
Carte alla mano, gli esperti di Iaea e i tecnici di Sogin hanno riallineato i costi effettivi del decommissioning italiano, che si aggirerà attorno ai 7,2 miliardi di euro, 400 milioni più rispetto ai 6,8 miliardi con cui il manager Desiata si era presentato all’esame. Desiata ha spiegato che dal 2001 il programma di smantellamento abbia coperto solo un quarto della strada (26 per cento), che però è già costato 3,2 miliardi di euro, il 44 per cento dell’ultima stima.
Tra i siti temporanei sono comprese anche le quattro centrali nucleari italiane ferme da trent’anni: Trino, in Piemonte; Caorso, nel Piacentino; Latina e Garigliano, in provincia di Caserta. Se ne occupa Sogin. La spa ha responsabilità diretta anche su altri quattro impianti del ciclo del combustibile: l’Eurex di Saluggia e Bosco Marengo in Piemonte, il centro della Casaccia fuori Roma e l’impianto Itrec Rotondella a Matera. Vanno poi sommati i centri di ricerca, le industrie, i rifiuti prodotti dalle forze armate italiane e straniere, incluso lo smaltimento delle radiologie ospedaliere.
Il 18 settembre 2017 le autorità francesi hanno scritto al ministero dell’Ambiente italiano. Apprezzano il piano nazionale per il deposito ma sottolineano “il carattere ambizioso di questo programma, tenuto conto dei pesanti rischi sulla creazione di questo tipo di installazione”. Ed inoltre, si interrogano sulla “compatibilità dei tempi della procedura con l’obiettivo di consegnare l’autorizzazione prima del 2021, data di avvio dei lavori per la creazione dell’installazione”. Per questo la Francia si pone delle domande sulla soluzione proposta dall’Italia “per assicurare il rispetto dei suoi impegni sul rientro delle scorie nei tempi previsti dall’accordo di Lucques”, un’intesa che ha consegnato oltralpe 235 tonnellate di rifiuti radioattivi italiani, da recuperare tra il 2020 e il 2025, nel caso “un ritardo provocasse un allungamento dei tempi di realizzazione del deposito nazionale”.
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