MANICOMIO ITALIA
di Roberto PECCHIOLI
Una vecchia barzelletta narra di un matto che si sporge dal cancello del manicomio e chiede a un passante: come si sta là dentro? Uno dei meccanismi del comico è l’inversione rispetto alla realtà, ma, nello specifico, ci sentiamo di fornire noi la risposta a quel matto, che è forse il più savio di tutti: nel Manicomio Italia si sta malissimo.
Abbiamo toccato in altre occasioni il tema del rovesciamento di significati, valori e giudizi che caratterizza il nostro tempo. Diventiamo forse ripetitivi, ma i fatti dell’ex Bel Paese possono ormai essere interpretati solo in chiave di follia o di ribaltamento totale. Nel primo atto di Macbeth le tre streghe, deus ex machina della tragedia, escono di scena pronunciando la frase “bello è il brutto e brutto è il bello”, poi scompaiono “su per la nebbia e l’aria unta”. Tale ci sembra la condizione presente, riassunta dal sommo Shakespeare in una famosa battuta del vecchio Re Lear: sono tempi maledetti quando i pazzi conducono i ciechi.
La cronaca sgomenta: una povera ragazza di 18 anni viene fatta a pezzi e nascosta in varie valigie, i trolley simbolo di un tempo nomade, da uno spacciatore di droga nigeriano il cui permesso di soggiorno è scaduto. Il giudice convalida il fermo per occultamento e vilipendio di cadavere, ma non per omicidio. I resti della povera Pamela sono talmente straziati, brandelli di essere umano massacrati tanto da rendere difficile capire se è morta a seguito di un’overdose di droga o se il buon Innocent – si chiama proprio così- l’ha ammazzata. Presto potrebbe persino uscire dal carcere. Nello stesso palazzo, il ragazzo che ha sparato contro gli immigrati che incontrava sulla sua strada per vendicare la sventurata è stato denunciato per strage aggravata dall’odio razziale, pur non avendo ucciso nessuno. Il coro mediatico si sta accanendo su Luca Traini e sul fascismo di ritorno (?!?) e Pamela è dimenticata, un fastidioso incidente sulla via dell’integrazione e, ça va sans dire, delle magnifiche sorti e progressive della società multirazziale.
Immaginiamo che se la ragazza romana fosse stata vittima di un carnefice connazionale si sprecherebbero pensose analisi sociologiche sul caso: una giovanissima già presa nel vortice della droga, il dramma di famiglie sfasciate e adolescenti allo sbando, i cinquanta euro della dose racimolati vendendo il suo corpo in un incontro casuale. A Pamela, alla sua generazione chiamata millennials, dovremmo chieder scusa e implorare perdono. Che mondo hanno trovato, per colpa nostra? Denaro unico Dio, libertà come scatenamento di qualunque pulsione, madri e padri assenti, nessun principio condiviso, nessuna educazione morale, civile, non diciamo spirituale. Lei ha pagato un prezzo terribile, milioni di altri vivono come lei, sulla strada, senza una bussola, una massa di primitivi di ritorno, come suggeriscono anelli al naso, tatuaggi e capelli dipinti.
Pagherà un conto salto il suo improbabile vendicatore, il giovanotto rasato che tiene in casa il Mein Kampf. Giusto così, non si spara nel mucchio, ma che splendido esemplare di malvagio da telegiornale! Solitario, litigioso, si manteneva con lavoretti da buttafuori, radicalizzato da poco, come si usa dire degli islamisti, una runa tatuata sul capo. Eppure, ha avuto, a differenza di Innocent, almeno un gesto di pietà, quel lumino acceso per Pamela. Ma i pazzi guidano i ciechi, per davvero. Macerata, piccolo capoluogo di provincia dell’Italia profonda, brava gente laboriosa, era considerata una delle città più tranquille del nostro Paese: scarsa criminalità, un benessere conquistato con il sudore e l’intelligenza, una vivace vita culturale, simboleggiata dalla presenza dell’università e da una famosa stagione di teatro e melodramma allo Sferisterio.
La città di Laura Boldrini è stata sfigurata in pochi anni, come mille altre località italiane, da un’immigrazione folle, incontrollata, sulla quale lucrano troppi, in denaro, potere, politica. Insieme con poveri cristi alla ricerca di pane – che non c’è, purtroppo – una marea di persone di ogni risma invade le nostre strade, ma che volete che sia, non è successo nulla, il Male Assoluto è Luca Traini, che mediterà in galera sul gesto criminale che ha commesso.
Tutti gli altri, innocenti e benefattori virtuosi, le ONLUS, le cooperative, le società create per lucrare sugli immigrati, anche quelli che pagano un euro per cassetta di raccolto a braccianti tenuti in condizioni subumane. Non è strano che molti di loro preferiscano la malavita: si guadagna molto, si rischia poco. Gli avvocati e non pochi magistrati sono sempre pronti a trovare giustificazioni ed attenuanti se sei straniero, anzi migrante. Un rom – zingaro è parola vietatissima – è stato scarcerato dopo soli quattro anni a seguito dell’omicidio di un uomo durante un furto d’auto. Se l’è cavata con meno di nove anni di condanna, adesso gira per le strade del manicomio Italia.
Il punto è che tutto si rovescia, o forse siamo gli ultimi a pensarlo, e siamo noi i pazzi che chiedono come si sta “là dentro”. Il tribunale di Genova ha assolto un giovanotto (qui la vicenda è tra italiani) la cui compagna minorenne è morta dopo un party a base di droga acquistata da lui. Il suo brillante avvocato, un professionista noto per le sue idee di destra, ha spiegato che fornire droga per consumarla in gruppo non è reato. Obiezione accolta; il tribunale, bontà sua, trasmetterà gli atti alla procura affinché, eventualmente, proceda per omissione di soccorso. Chi muore giace, con quel che segue nel detto popolare.
Tutto appare così invertito che viene da pensare che siamo noi a camminare a testa in giù e vedere tutto in negativo, un ordine che diventa contrordine. Jorge Luis Borges avvertì che spesso gli uomini credono di vivere nel peggiore dei mondi possibili, dunque pigliamo fiato e cerchiamo di prendere le distanze dal nero che vediamo. Magari hanno ragione quei giornalisti, influencer e utenti delle reti sociali che hanno celebrato come una vittoria la morte di una sventurata malata di SLA che ha, come si dice, staccato la spina. Dinanzi a situazioni di questo tipo, conviene il silenzio, chinare la testa e, per chi si ostina a credere in Dio, pregare per la signora sarda. Ma il trionfo della morte no, l’esultanza ostentata perché ha potuto farla finita no, non possiamo accettarla.
Sarà saggio l’avvertimento dell’autore di Aleph e di Fervor de Buenos Aires, ma ci sentiamo morire leggendo della sentenza di un tribunale che ha riconosciuto un risarcimento in denaro a un padre che non voleva la figlia, nata per un aborto non andato a “buon” fine. Per lo stesso motivo, la madre aveva già ottenuto 125.000 euro, tratti dalle tasse pagate anche da chi scrive. Un’unica domanda: la bambina, almeno, è stata affidata a qualcuno che la ama e sa apprezzare quella vita tanto indesiderata da chi l’ha generata per istinto incontrollato, non-genitore 1 e non-genitore 2?
Gli enormi problemi dell’Italia, in questi mesi, si vanno riducendo a uno: criminalizzare chiunque dubiti della bontà dell’accoglienza indiscriminata di stranieri. Si va dalle accuse più semplici, quasi banali per quanto sono scontate di fascismo e razzismo, sino al moralismo d’accatto della litania politicamente corretta. Un uomo politico è stato crocifisso per aver pronunciato la parola “razza”. Quando lo stesso, dopo le scuse farfugliate davanti al mondo intero (ricordate l’autocritica pubblica pretesa nei regimi comunisti ai compagni poco fedeli alla linea?) ha osservato che il vocabolo razza è scritto nella costituzione, apriti cielo. E’ assai curioso che il testo dell’articolo 3, relativo alla non discriminazione, sia dovuta ad un costituente comunista, Renzo Laconi, membro della Commissione dei Settantacinque che scrissero la Carta.
Si è ora aperto un dibattito sull’opportunità di espungere, abolire dal testo costituzionale il termine razza diventato cattivo. Sessanta milioni di residenti dello Stivale non attendono altro. Eliminata la parola, risolto il problema. Gridare integrazione, accoglienza fa scomparire il fatto che l’immigrazione, se incontrollata e non selettiva, diventa una bomba sociale, un dramma per chi arriva e un trauma per chi è nato qui. E’ il sistema di Mary Poppins: supercalifragilistichespiralidoso, anche se ti sembra che abbia un suono spaventoso, se lo dici forte avrai un successo strepitoso.
Più seriamente, la dittatura del politicamente corretto ha effetti devastanti. Si è deciso che le razze non esistono, con sprezzo del ridicolo, dunque è sospetto chiunque turbi la nuova verità con il suono della parola interdetta. Gli appassionati di calcio di una certa età ricorderanno l’elogio che si faceva di certi calciatori veneti provvisti di prestanza fisica e doti di carattere: sono “razza Piave”. Vietato, ma adesso nel campionato di calcio nostrano un giocatore italiano è così raro come un dì senza vento a Catanzaro. Non ci è chiaro se sia ancora permesso discutere di razze canine o se anche il migliore amico dell’uomo non debba essere più distinto tra barboncino, cocker o pastore tedesco.
Abolito, vietato o nascosto il significante, svanirebbe il significato. Un’ottima idea, se fosse vera. Dovremmo chiedere a un sordo se ci sente meglio da quando è chiamato non udente, ma temiamo si tratti di grave scorrettezza politica.
Tuttavia, poiché il Manicomio Italia è sempre aperto, la nostra modesta proposta è di abolire per legge, insieme con la razza, anche il cancro e la morte. Tre al prezzo di uno e avremo rimosso tutte le tragedie umane. E’ un’idea da pazzi, quindi ha molte probabilità di essere accolta. Nel Faust di Goethe, Mefistofele, il diavolo, espresse sottovoce una verità assai dura: alla fine, dipendiamo da quelle creature a cui noi stessi abbiamo dato vita. I fantasmi di questa folle post modernità.
ROBERTO PECCHIOLI
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