Come funziona il mondo? O ti fai Sfruttare… o non Mangi!
La schiavitù non è stata abolita, è stata solo ridotta ad 8 (o anche più e non pagate) ore al giorno!
Miliardi di esseri umani che si alzano al mattino senza averne alcuna voglia, forzando membra e psiche, ammalandosi di stress ed esaurimenti nervosi, per andare a fare un lavoro del cavolo che li renderà ancora più malati, debilitati nel cervello e nel fisico, e che arricchirà soltanto quel qualcuno che da questo ricatto (o ti fai sfruttare o non mangi), spacciato per diritto, ne ricava ogni privilegio.
In democrazia, quel qualcuno privilegiato viene pure scelto dagli schiavi. Ma cosa vuole di più il capitalismo? Ve lo dico io cosa vuole di più: uno stato sempre più efficiente, con il servo sempre più deficiente! E ci riesce!
La schiavitù è una particolare forma di sfruttamento. Nelle società pre-moderne il padrone si appropriava non solo del lavoro dello schiavo, ma della sua stessa vita, di cui poteva disporre arbitrariamente, anche al di fuori della sfera produttiva. La condizione servile definisce l’intera vita e l’identità dello schiavo, che deve obbedienza al padrone, non solo durante le attività lavorative, ma nel corso della sua intera esistenza, a meno che non si affranchi e abbandoni il suo stato di schiavo.
Libri e varie...
Con la rivoluzione industriale e il capitalismo la schiavitù arcaica scompare, perché vengono meno i rapporti personali di potere, sostituiti dai rapporti economici impersonali del mercato; la schiavitù viene abolita formalmente, sostituita da una nuova forma di sfruttamento, il lavoro salariato, attraverso il quale il capitalista si appropria del lavoro dell’operaio, cui corrisponde un valore in denaro, in uno scambio che assume la forma contrattualistica. Quest’ultima sancisce la proprietà del lavoro da parte del capitalista, ma non determina la restante esistenza del lavoratore che resta formalmente libera.
Tuttavia, se nei rapporti giuridici l’appropriazione di plusvalore da parte del capitalista, è distinta dall’esistenza extra-economica del lavoratore, nel concreto essa continua a determinarla. La vita dell’operaio non è più vincolata a rapporti personali, ma dipende dai meccanismi impersonali del mercato e dall’appropriazione capitalistica. L’intera esistenza biologica e socio-culturale del lavoratore appare così votata alla produzione di merce per lo scambio.
La schiavitù, quindi, pur formalmente abolita, continua a persistere nella realtà concreta, perché il rapporto di sfruttamento, fattosi impersonale, non si limita al tempo del lavoro, ma si estende all’intera vita dello sfruttato. Il salario garantisce solo la sussistenza e la riproduzione della classe operaia, che non si dà al di fuori del processo di produzione. Lo stato servile non configura tutte le fasi e le attività dello schiavo come nelle società pre-moderne, ma l’intera esistenza del proletario viene schiacciata sulla sola funzione produttiva (anche quella riproduttiva che deve solo garantire la rigenerazione della forza lavoro).
La borghesia, invece, conserva rispetto al lato socio-economico una dimensione autonoma, elemento costitutivo dell’ideologia borghese, che si costituisce come sfera privata dell’individuo. Questa autonomia della sfera privata non riguarda, invece, l’operaio, la cui esistenza tende interamente a schiacciarsi sulla fase produttiva.
Secondo la teoria marxiana, infatti, il capitale tende ad accrescere il plusvalore allungando la giornata lavorativa, il che vuol dire, che restringe il tempo a disposizione del lavoratore al di fuori dell’orario di lavoro. Tuttavia, in particolari condizioni, può avvenire il processo inverso: ad esempio, un aumento della produttività può permettere la contrazione del tempo di lavoro del lavoratore.
Nel ‘capitalismo avanzato’, poi, l’autonomia della sfera privata viene stabilmente estesa al lavoratore, perché il tempo del lavoro individuale si riduce e i salari aumentano, in virtù dell’effetto combinato del conflitto di classe organizzato e della necessità del capitale di incrementare i consumi.
Inoltre, nel nuovo sistema, subentra un nuovo agente, ovvero lo Stato, che riveste il ruolo sia di mediazione politica tra le classi che di compensazione economica degli squilibri del mercato: lo Stato non è più mero “arbitro” ma si inserisce pienamente nel processo produttivo, sia per esigenze economiche che politiche. Da una parte, usa le finanze pubbliche per compensare i vuoti produttivi lasciati dal mercato, incrementando l’occupazione e dall’altra, regolamenta politicamente e limita lo sfruttamento del lavoro.
In queste mutate condizioni, fattori economici e politici determinano con sempre maggiore evidenza (portando al culmine un processo già cominciato in modo discontinuo attraverso le rivendicazioni sindacali) una differenziazione tra sfruttamento e schiavitù impersonale. Le tutele giuridiche e sindacali di cui gode il lavoratore nel capitalismo statalista, l’elevata produttività raggiunta e motivi socio-culturali consentono di sganciare in parte l’esistenza personale del lavoratore dal processo produttivo. In questo modo solo una porzione della vita del lavoratore viene sottoposta alle esigenze produttive, nella fase extra-produttiva, ora, egli può costituirsi una sfera privata autonoma.
In questa sfera privata si possono dispiegare gli affetti, la sessualità, l’espressione controllata delle pulsioni, la gestione del tempo libero. Ma questa sfera viene anche a costituirsi come momento del consumo, necessario all’esplicazione dell’autonomia individuale. In questo modo, la dimensione extralavorativa rientra in quella produttiva, non come tempo di lavoro, bensì come consumo.
In un certo senso, il singolo lavoratore si riappropria, in parte e in modo alienato, del tempo di lavoro che gli è stato sottratto durante la fase produttiva. Se, dunque, ciò emancipa il lavoratore da una forma schiavistica di sfruttamento, d’altro canto reinserisce nuovamente la sua intera esistenza nella catena produttiva e nei meccanismi di mercato, a cui deve ancora accedere, dopo il lavoro, come consumatore, per disporre della propria autonomia privata.
Rivisto da Conoscenzealconfine.it



![LA FINE DELLA SOVRANITà - LIBRO
Come la dittatura del denaro toglie il potere ai popoli
di Alain De Benoist
Una vera e propria dittatura del denaro sta pian piano assumendo il controllo,
togliendo ai Popoli la loro sovranità.
La crisi attuale è caratterizzata dalla completa estraneità della finanza di mercato rispetto all'economia reale, dato che ha causato un indebitamento generalizzato, che ha ormai raggiunto livelli inediti.
La prima conseguenza "naturale" è stata affidare il potere politico ai rappresentanti di Goldman Sachs e di Lehman Brothers, le più grandi potenze finanziarie mondiali, ma inutilmente, poiché la creazione di capitale-denaro fittizio non è più in grado di risolvere il problema.
Ecco quindi che l'Unione europea estrae dal cilindro due nuove "soluzioni": il Meccanismo europeo di stabilità (MES) e il Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance (TSCG) che equivalgono in sostanza a un totale esproprio di ciò che rimaneva della sovranità degli Stati.
I parlamenti nazionali, subalterni e complici, si vedono sottrarre il potere di decidere le entrate e le uscite dello Stato, ruolo ormai trasferito alla Commissione europea.
In questo modo l'intera Europa viene posta sotto la tutela di una nuova autorità, priva di qualsiasi legittimità democratica, che assegna il potere ai mercati finanziari rendendoli completamente liberi di imporre ai popoli il proprio volere.
Indice
Prefazione
La crisi strutturale della forma-capitale e la sovranità
Capitolo 1- La fine del mondo c'è stata, eccome!
Capitolo 2 - Mondializzazione, Demondializzazione
- La mondializzazione, lo stadio supremo dell'espansione del capitale
Capitolo 3 - Il Debito infinito
Capitolo 4 - Crisi finanziaria: a che punto siamo?
Il MES, un impegno irrevocabile
- Con la condiscendenza degli eletti socialisti
- Istituzionalizzata la delazione fra Stati
- Una rinegoziazione fantasma
- Un "colpo di Stato europeo"
- La macchina per ricattare
- La "follia" della politica di austerità
Capitolo 5 - Il mito dei Mercati Efficienti
- Una vera marcia verso la miseria
- Il punto di rottura
- L'illusorio obiettivo "deficit zero"
- L'uscita dall'euro è una soluzione?
- L'industria finanziaria alla conquista del potere
- La "economia pura" non esiste
- Le credenze liberali
- Per un protezionismo europeo
Capitolo 6 - Sfiducia ovunque, speranza da nessuna parte?
Capitolo 7 - Il "Grande Mercato Transatlantico": un'immensa minaccia
Capitolo 8 - La Mondializzazione come ideologia
Capitolo 9 - Miserere dell'Altermondialismo
Appendice
- Piccola genealogia del Patto di bilancio europeo
- La sovranità popolare violata
- Mercato comune o mercato interno?
- Banche centrali senza controllo democratico
Estratto dal Libro - L'uscita dall'euro è una soluzione?
La decisione dei dirigenti della Commissione europea e della Bce di aiutare i Paesi in difficoltà – aggiungendo però all'aiuto delle condizioni, che in realtà ne aggraveranno la situazione – consiste nello "stabilizzare il sistema pur mantenendo intatti i suoi catastrofici funzionamenti interni", come scrive Frédéric Lordon, il quale aggiunge:
"Eccoci dunque entrati in quello che potremmo chiamare un regime di austerità sub-atroce. […]
Le popolazioni, che avevano ormai solo le speranze paradossali del peggio, cioè la prospettiva di farla finita con le loro sofferenze, grazie al crollo endogeno della costruzione europea, […] ripiomberanno in pieno nell'aggiustamento strutturale senza nemmeno il soccorso delle contraddizioni europee, temporaneamente contenute dalla Bce, e la cui divergenza costituiva il solo modo per mettere un termine alle loro prove. […]
Per finire, la chiusura di fortuna della breccia da parte della Bce lascia l'austerità come unico orizzonte"
La crisi attuale, innanzi tutto, è una crisi del debito o una crisi dell'euro?
A nostro avviso, è in primo luogo una crisi del debito, ma è evidente che le condizioni in cui l'euro è stato creato l'hanno notevolmente aggravata, volendo ignorare le disparità economiche tra i Paesi chiamati ad applicarlo; tuttavia, nelle sue radici più profonde, essa non è stata fondamentalmente provocata dall'indebitamento pubblico, che ne è stato solo la conseguenza.
Come ha di recente fatto notare un collettivo di circa centoventi economisti, l'aggravamento dei deficit pubblici è in realtà il risultato:
"della caduta delle entrate fiscali dovuta in parte ai regali fiscali fatti ai più agiati, dell'aiuto pubblico concesso alle banche commerciali e del ricorso ai mercati finanziari per trattenere quel debito a tassi d'interesse elevati. La crisi è inoltre spiegabile con la totale assenza di regolamentazione del credito e dei flussi di capitali a spese dell'impiego, dei servizi pubblici e delle attività produttive"
Infine, come ha innumerevoli volte sottolineato Jacques Sapir, è una crisi di competitività, aggravata dagli effetti perversi dell'euro, che si è tradotta nell'aggravamento dei deficit commerciali, nella scomparsa di interi settori dell'attività industriale, nella moltiplicazione dei "piani sociali" e delle distruzioni di posti di lavoro.
Uscire dall'euro è la soluzione?
Questa è ormai l'opinione di Emmanuel Todd e, da più tempo, quella di Jacques Sapir, per il quale l'unico scopo del TSCG è quello di "rendere credibile la politica di salvataggio dell'euro".
Noi ci andremo un po' più piano.
L'uscita dall'euro permetterebbe certamente una svalutazione, che a sua volta renderebbe possibile un calo "senza dolore" dei costi salariali, ma un siffatto modo di agire ha senso solo se lo si assume in modo concertato, al fine di consentire un ritorno alle monete nazionali, che vada di pari passo con il mantenimento di una moneta comune riservata agli scambi internazionali.
Orbene, è chiaro che nessuno, oggi, desidera una simile soluzione. Tutto dimostra che i dirigenti dell'Unione europea sono anzi pronti a qualunque cosa, anche al peggio, pur di non toccare l'euro.
La stessa Grecia, che pure forse alla fine sarà costretta a uscirne, sta facendo di tutto per evitare un ritorno alla dracma. La Germania, dal canto suo, vuole impedire ai Paesi mediterranei di uscire dall'euro, perché sa che ciò le costerebbe più di quanto le farebbe guadagnare, ma logicamente non vuole neanche essere la mucca da mungere dei Paesi del Sud; per questo, è la prima a battersi a favore di un controllo rigoroso della spesa pubblica all'interno della zona euro....](https://www.macrolibrarsi.it/data/cop/th/l/la-fine-della-sovranita-libro-71692.jpg)

Nessun commento:
Posta un commento