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martedì 5 dicembre 2017

LA FRUSTATA DI SAPELLI: “LA SINISTRA HA TRADITO I LAVORATORI”

di Aurora Pepa
Si può ben dire che per Giulio Sapelli sia proprio arrivato il momento di fare un bilancio definitivo: il bilancio di una carriera accademica - e non solo - di tutto rispetto, sancita dal pensionamento celebrato con una giornata di studi in suo onore alla quale hanno partecipato, proprio pochi giorni fa, Fausto Bertinotti, Domenico Siniscalco e Maurice Aymard. Storico, economista, studioso delle dinamiche globali, Giulio Sapelli ha abbandonato da pochissimi giorni la cattedra da cui per decenni ha tenuto lezioni di storia economica e ad Interesse Nazionale dice la sua su politica, economia, Europa e mondo dell’imprenditorialità.
Professor Sapelli, lei ha definito l’Europa un “leviatano burocratico”. Perché? 
È una figura azzardata che però si può utilizzare per descrivere l’Europa, per tutta una serie di decisioni diventate procedure tecnocratiche e burocratiche che sono, soprattutto in politica economica, indipendenti da qualsivoglia governo nazionale dei vari Paesi. Sono decisioni prese spesso senza nemmeno passare per la via del Parlamento europeo – non a caso si chiamano “direttive” e non “leggi” – che, applicandosi ad un determinato governo di un determinato Paese, continuano ad essere assunte anche quando quello stesso governo cambia.
Un giudizio piuttosto critico, il suo, nei confronti dell’Unione Europea …
Perché una Europa che non è né confederale, come la Svizzera, né federale, come gli Stati Uniti o la Germania. In base alla teoria funzionalista di Jean Monnet si sottraggono quote di sovranità alle nazioni, in specifici ambiti, senza che i popoli se ne accorgano. E questo è molto grave.
Perché gli europeisti definiscono i loro avversari “populisti”?
In primo luogo, mi pare che gli europeisti difettino di cultura, vivano di luoghi comuni e non sappiano ragionare: ciò si deduce proprio dall’applicazione che fanno della categoria di “populista”, che a mio avviso non ha nulla a che vedere con la protesta che si sviluppa contro l’Europa.
Cioè?
Il populismo è un fenomeno storico ben definito ed è nato in Nord America, ma quando si fa un’affermazione di questo tipo, gli ascoltatori strabuzzano gli occhi. Poi è diventato un fenomeno tipico dell’America Latina, prima con il presidente Vargas in Brasile e poi in Argentina con Péron, grazie al quale ha raggiunto il suo apice massimo. Il populismo è una prassi politica ben precisa: quello che abbiamo in Europa non è populismo, ma una serie di rivendicazioni nazionalistiche accompagnate da una polemica contro la classe politica e la tecnocrazia europea tout court. Nella meccanica storica dei partiti politici, questo non ha nulla a che vedere con il populismo.
Lei ha anche affermato che “l’era delle dittature europee non si può dire chiusa per sempre” …
Basta vedere l’eco che ha avuto tra i serbi la condanna di Mladic, un criminale di guerra che ha sterminato decine di migliaia di musulmani: dopo vent’anni quest’uomo è stato condannato ma in Serbia non se ne parla. Questo vuol dire che esiste una cultura propensa alla violenza, al sangue. Il nazismo è stato una dittatura impensabile per il suo tremendo antisemitismo: ipotizzare qualcosa di peggiore è impossibile. Ma credo che si possa prevedere un ritorno di qualche dittatura, anche se ritengo più probabile che questo possa accadere nei Paesi scandinavi, come la Finlandia.
Ha affermato che gli Stati oggi sono governati non più da partiti, ma da piccoli gruppi di interessi. In che senso?
È un fenomeno mondiale, la cosiddetta “patrimonializzazione dello Stato”, su cui il sociologo israeliano Eisenstadt ha scritto un libro importantissimo. Avviene quando uno Stato viene fatto proprio da qualche grande famiglia imprenditoriale e le politiche economiche promosse vengono dettate da tali interessi. Un esempio? La costruzione delle ferrovie ad alta velocità dove non dovevano essere costruite, in Italia, è stato un viatico per l’interesse di alcuni gruppi di potere economico ed imprenditoriale che avevano allora un aggancio nel Partito Democratico, il quale consentì loro di penetrare all’interno dello Stato e di conquistare il Ministero dei lavori pubblici.
Che posizione occupa attualmente l’imprenditore nella fisionomia dell’Italia? 
Ci sono imprenditori e imprenditori: ognuno è diverso dall’altro. La categoria sociologica dell’imprenditore comprende al suo interno quello assistito, quello che vive di favori politici, quello che invece non ha favori politici ma democratico-istituzionali, quello che lotta da solo con coraggio e intelligenza … Generalizzare una figura sociale è impossibile, tanto più se si parla di imprenditori, cioè dei veri attori sociali: bisogna piuttosto analizzare i fenomeni così come si manifestano nel loro corso storico.
Quindi, per poter stabilire se un imprenditore sia una risorsa o un problema – citando il titolo di un suo libro – dobbiamo prima capire con che tipo di imprenditore abbiamo a che fare.
Esattamente. Se si tratta di un imprenditore assistito, per esempio, di sicuro assumerà le persone solo in caso di defiscalizzazione o contributi, come nel caso del Jobs Act. Se invece ci troviamo di fronte ad un imprenditore non assistito, questo assumerà dipendenti perché ne ha davvero bisogno e vuole investire. C’è l’imprenditore che coraggiosamente non paga il pizzo e poi c’è quello che non solo paga il pizzo, ma si serve della mafia per avere lavori pubblici che altri non possono avere.
E della sinistra che ha sposato l’austerity cosa pensa?
Penso tutto il male possibile! Lo sbandamento momentaneo è sempre capitato, anche nelle grandi sinistre internazionali – si pensi alla tragedia e al fallimento della Seconda Internazionale, quando a predicare la pace era rimasto solo Benedetto XV! Riguardo alla sinistra italiana, però, ciò che mi fa paura e il motivo per cui provo profondo disprezzo morale è l’incapacità di certe persone di fare un’autocritica. Non riesco a capire come Prodi, Bersani e D’Alema vogliano adesso diventare i “capi” di una nuova sinistra senza ammettere di aver aderito, nel 1991, alle ideologie sbagliate, di aver rovinato l’Italia vendendola a potenze straniere e di aver ridotto alla fame le nuove generazioni. È vergognosa l’incapacità di assumersi le proprie responsabilità.
Pensa che la sinistra abbia tradito la sua missione di tutela del mondo dei lavoratori?
Sì, sì, e sì! Quella confluita nel Partito Democratico e, attualmente, para-Partito Democratico, sicuramente sì. E direi anche una parte di quella “fuoriuscita”, i bersaniani e i dalemiani.

A. Pepa

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