Quando l’Europa suicidò il Pianeta, e si continua
Il 3 Agosto del 1914 l’Europa decise di suicidarsi: in un anelito di gloria e di fulgore bellico – che tutto annebbiò, compresi i rischi che ne derivarono – l’Europa decise di farla finita. Con un pessimo trattato di pace, nel 1919, gettò le basi per il secondo tempo, come oramai tutti gli storici sono concordi nel definire Prima e Seconda guerra mondiale un unico evento, frammentato in due episodi.
Dal 3 Agosto del 1914 al 15 Agosto del 1945, in soli 31 anni, la follia degli ultimi re ed imperatori, spalleggiati dai presuntuosi francesi e poi da qualche dittatore, ridussero un intero continente alla fame. Nel Novembre del 1918, appena giunta la pace, i giornali di Vienna salutarono come degli angeli una colonna di mezzi militari italiani che giunse a Vienna, con rifornimenti per la popolazione che moriva letteralmente di fame, giacché la mancanza di uomini nei campi aveva impedito quasi del tutto le semine primaverili.
I rifornimenti, ovviamente, non potevano essere italiani (alla fame come gli austriaci!) ma erano giunti dagli Stati Uniti via nave a Venezia: si tornava a mangiare! Peccato, però, che nel 1917 in Kansas fosse comparso un piccolissimo virus denominato, poi, spagnola perché i primi giornali a fornire notizie furono quelli spagnoli, mentre nel resto d’Europa la stampa era sotto censura militare e certe notizie venivano cancellate con un tratto di penna dai solerti generali-censori.
La Spagnola non si conosce nemmeno quanti morti causò: si narra dai 50 ai 100 milioni di vittime, dovute ad una variante del solito virus H1N1, quello della comune influenza, soltanto che il virus s’abbatté su popolazioni stremate dalla fame, dal freddo e dalle privazioni: in Italia, le vittime furono 600.000, tante quante ne causò la guerra.
La popolazione italiana all’epoca era di 36,5 milioni: 1.200.000 morti fra vittime di guerra ed influenza spagnola, 2,5 milioni di feriti, dei quali 460.000 mutilati ed invalidi e 460.000 vittime civili: circa due milioni di vittime (compresi gli invalidi).
Sarebbe come se, oggi, per un accidente come una guerra od un’epidemia, morissero o rimanessero invalidi 4 milioni d’italiani. Cosa direbbero i soloni dell’economia?
Non stiamo ad aggiungere i morti del Secondo Tempo della guerra (1939-1945) – che, in ogni modo, furono circa 300.000 per l’Italia – perché vogliamo sottolineare come il Primo Tempo fu decisivo per quanto avvenne dopo.
Ricordavo, sopra, il soccorso americano a fine guerra per il quale l’Europa non sapeva come fare: il grano c’era, ma era in America, e non c’erano più navi per trasportarlo di qua dell’Atlantico! Gli USA, all’epoca, non avevano un’enorme flotta mercantile. Al termine del Secondo Tempo, giunse il piano Marshall e mangiammo per anni pane, patate dolci, carne congelata, burro dell’Ohio…tutto giungeva dagli USA.
Dov’erano finite le navi europee?
Le navi europee – chi a causa dei sommergibili, chi degli aerei, chi colpite da altre navi, chi saltate per aria per cause sconosciute – pari a circa 100 milioni di Tonnellate di Stazza Lorda, nel Primo e nel Secondo Tempo erano completamente sparite. Sia al termine della Prima, sia dopo alla fine della Seconda, le nazioni europee avevano sì e no qualche pedalò da mandare in mare.
100 milioni di Tonnellate di Stazza Lorda (l’unità di misura per le navi mercantili) sono, circa, 50 milioni di tonnellate metriche e corrispondono, grosso modo, al dislocamento che è il peso di una nave: quindi, nelle due guerre, finirono in fondo al mare 50 milioni di tonnellate di Ferro per le navi mercantili e 25 milioni di Ferro per le navi militari e/o assimilate.
In definitiva, 75 milioni di tonnellate di Ferro finirono in fondo al mare: a quante autovetture corrispondono? Siccome un’autovettura pesa in genere meno di una tonnellata – e non è solo ferro: ci sono le gomme, le batterie, i vetri, ecc – consideriamo il metallo solo la metà della costruzione. In definitiva, corrispondono a 150 milioni d’autovetture precipitate in fondo al mare, le quali rappresentano circa due anni di produzione d’automobili & mezzi di trasporto nel mondo dei giorni nostri.
Il problema, oggi, non si pone: le automobili, ridotte ad un cubo dalle macchine demolitrici, finiscono negli altiforni o nei forni Martin per la produzione d’acciaio. Curiosamente, potremmo affermare che la macchina di vostro nonno fu quella che usò vostro padre, e la vostra è la ex macchina di papà: si potrebbe sostenere che allungando la vita utile di un’automobile, ci sarebbero forti risparmi energetici ma – ovviamente – meno occupati e meno profitti per l’industria automobilistica. Il CEO della Opel, anni fa, dopo la crisi del 2008 abbozzò una soluzione: perché non riduciamo di un anno (da 8 a 7) l’obsolescenza programmata? E bravo furbacchione!
Per produrre una tonnellata d’acciaio servono circa 0,4 tonnellate di carbone (1) perciò, per far finire in mare (dove non sono più recuperabili) quei 75 milioni di tonnellate di acciaio, sono servite 30 milioni di tonnellate di carbone. Che, trasformate in energia elettrica, sono comparabili al consumo annuo d’energia elettrica italiano odierno.
Quanto lavoro ci volle per costruirle?
Difficile fare una stima: milioni di ore di lavoro, molti milioni. Pensate solo che, per costruire una nave da crociera, oggi, servono tre anni di lavoro con cantieri che hanno centinaia di dipendenti. Le grandi corazzate dell’epoca richiesero tempi di 5-7 anni per essere costruite.
Questi pochi dati, riescono appena a fornire una vaga idea di quante energie servirono per mettere in moto e mantenere per dieci anni una simile fornace (solo navi! Poi ci furono aerei, carri armati, cannoni, ecc) . Oltretutto, la “fornace” continua e continuerà a darci dei guai, e mica da poco.
La petroliera militare USA Mississinewa, un brutto giorno del 1944 fu colpita da un siluro-suicida giapponese (kaiten: i “kamikaze” della Marina nipponica) nelle acque della paradisiaca Micronesia (2). Posti da mare-vacanze fra i più gettonati…palme e atolli con sabbia che pare cristallo…mare azzurro…pranzi di pesce e frutti tropicali…
E venne un altro brutto giorno, nel 2015, quando un tifone “scrollò” un pochettino il relitto affondato…e, voilà! 20.000 tonnellate di petrolio invasero tutto. Più niente mare, spiaggia, turismo, cocco, banane, manghi…
Questo avviene perché il mare corrode circa un millimetro di lamiera ogni 10 anni (più o meno) e siccome le lamiere della petroliere raramente raggiungevano i 10 millimetri…oggi…iniziano a presentarci il conto. Un’altra petroliera sta inondando la spiaggia di Staten Island a New York…ma che ci volete fare…costa una media di 10.000 dollari per tonnellata aspirare il pasticcio dal fondo…e chi s’ accolla la faccenda?
Se pensate al Pacifico come al paradiso in terra, dovevate andarci prima del Secondo Tempo, durante l’intervallo: la maggior parte delle isole è zeppa di rottami affondati, carri armati rugginosi nelle foreste ed enormi zuppe di ferraglia militare nelle grotte: nelle sole acque di Guadalcanal – tanto per citare un caso – riposano una cinquantina di relitti militari, al punto che le acque prospicienti l’isola sono chiamate Iron Bottom Sound. Sono la gioia dei subacquei e dei pesci che, se li strizzate nel serbatoio, ci fate una decina di chilometri.
Ah, dimenticavo: anche l’Italia ha ricevuto il suo bel regalino. La nave US Liberty John Harvey fu bombardata da aerei tedeschi a Bari il 2 Dicembre 1943 e fu portata ad affondare fuori del porto. Nessuno raccontò cosa trasportava la nave e solo nel 1967 – bonariamente – gli americani ci dissero che era carica d’Iprite, un gas tossico e venefico: i morti per quel bombardamento assommarono a migliaia, fra militari e civili, e tutte furono diagnosi di “dermatite”. Diagnosi dubbiose, stilate da medici che non sapevano nulla del gas e non si spiegavano quelle morti senza la minima ferita.
Migliaia di persone morte, dal giorno alla notte, di “dermatite”: vi furono anche nel dopoguerra dei pescatori che, purtroppo, trovarono i fusti d’Iprite incagliati nelle loro reti. Vi lascio immaginare cosa capitò a quei poveracci: un cacciatorpediniere americano che transitò giorni dopo il bombardamento in quelle acque sperimentò una sorta di perdita di coscienza da parte dell’equipaggio, e si salvò miracolosamente. I tedeschi, da una loro radio, dissero che “gli americani erano riusciti a gasarsi da soli”.
L’ultimo “regalo” è stato il Sesto Continente: non è l’Antartide, bensì la colossale “isola” di plastica (grande come la Spagna) che si è formata, a causa delle correnti oceaniche, nel Nord dell’Oceano Pacifico. E fosse solo questo il problema.
La plastica, sottoposta all’azione combinata delle acque marine e dei raggi solari, tende a depolimerizzarsi e – diciamo così – “sparisce”, nel senso che tende a solubilizzarsi. L’abbiamo sfangata? No, perché il fitoplancton, affamato d’ogni molecola che trova, se le prende e le utilizza per “abbellire” il proprio corpo.
Dal fitoplancton allo zooplancton, quindi ai pesci e la catena alimentare giunge all’uomo: è nato l’uomo bionico! Tutto da solo: basta cibarsi di un po’ di pesce del Pacifico e vi spunteranno le antennine e le orecchie del dott. Spock! Oppure, se il corpo umano rifiuta la “colonizzazione”, aumenteranno a dismisura i tumori più impensati alle età più imprevedibili (come già succede alle popolazioni del Pacifico).
Così, vi meravigliate se spunta una certa variante del Coronavirus, che è presente da sempre nel nostro naso e ci fa venire il raffreddore: ovviamente è tutta colpa dei militari assassini che giocano alla guerra biologica.
A nessuno passa per la mente che un bel mix di spazzatura, più migliaia di navi affondate (tutte con abbondante petrolio nelle stive), “frullate” da cicloni e tempeste sempre più aggressive, possano entrarci qualcosa nelle mutazioni dei genomi, dai virus a quello umano.
Perché ho addossato la ragione di tutto questo alla data del 3 Agosto 1914?
Poiché entrambi i due episodi di quelle guerre apocalittiche iniziarono con la decisione, da tutti assicurata, che “sarebbe durata pochi mesi”.
E, questo, è un aspetto importante.
Una guerra stupra le popolazioni, le rende affrante e paurose, al punto che qualsiasi problema “accessorio” – come, ad esempio, la sostenibilità di quelle azioni – passa in secondo piano: vincere, solo vincere, per sopravvivere. E che tutto duri il meno possibile: dopo, si vedrà.
Quando si rendono conto che la guerra non termina in breve tempo, e dunque tutto ciò che hanno – compresa la vita stessa! – viene messo in gioco, ogni principio di salvaguardia per gli altri non conta più niente e qualsiasi azione diventa legittima. Il problema è che le azioni non cessano di esistere nel momento che si attuano: percorrono il tempo, si modificano, e variano gli eventi in una catena impossibile da recepire e da prevedere.
Se la guerra ha avuto un deciso arresto con l’avvento delle armi nucleari, s’è spostata sul fronte economico: non si semina più per avere il pane, bensì per produrre un pane che sia più a buon mercato di quello del vicino, cosicché il vicino chiuda le sue panetterie e s’approvvigioni alle nostre.
Finché furono i Galli ad abbattere la nostra industria della ceramica, che era soprattutto nella zona di Arezzo, la cosa poteva ancora essere sopportata: non conduceva a finali imprevedibili, soltanto al trasporto con i carri dalla Gallia ad Arezzo.
Il problema, oggi, è invece che trasportare milioni di tonnellate dalla Cina e per la Cina comporterebbe la massima attenzione nei trasporti marittimi, cosa che non avviene.
In ogni angolo del Pianeta si trovano container arenati sulle spiagge: considerando che, per un container che giunge ad una spiaggia, 99 s’inabissano nell’oceano e torneranno a far vedere il contenuto delle loro “pance” fra decine di anni. Anni fa, s’incagliò in un fiordo inglese una nave con moltissimi container carichi di moto giapponesi: fu un corri corri, da Londra verso il Nord – uomini della City, eleganti impiegati delle Banche, poliziotti, gente comune… – giunsero per accaparrarsi le costose motociclette che una tempesta aveva depositato sulla spiaggia.
Navi con carichi mostruosi affondano come le mosche in tutti gli oceani: il 27 Febbraio 2020, 300.000 tonnellate di minerale ferroso della Stella Banner (3) sono finite in fondo al mare al largo del Brasile mentre, nel 2017, la Stellar Davis scomparve di fronte alle coste dell’Uruguay con le sue 320.000 t di Ferro (4) e furono ripescati solo due superstiti ancora vivi. Dal nome, sembrerebbe che le due navi appartenessero alla stessa compagnia coreana: niente paura, le assicurazioni pagheranno, i noli delle assicurazioni aumenteranno, così per risparmiare si soprassederà ancor più ai controlli e gli equipaggi saranno pagati ancor meno.
Navi precedentemente utilizzate per il trasporto del greggio vengono frettolosamente riadattate per il trasporto di minerali: le ristrutturazioni devono essere veloci e i documenti “tutti a posto” in breve tempo perché bisogna fare in fretta, “vincere la guerra”, stavolta economica. E i risultati si vedono.
In questo quadro, l’OCSE dichiara che la crescita mondiale sarà “solo” del 2,4% e, se il virus si mostrerà ancor più mordace, potremmo scendere ad 1,5% mentre l’Italia rimarrà ferma, senza crescita.
E allora? Devo preoccuparmi perché dovrò mangiare la stessa quantità di grissini dell’anno scorso? Oppure consumare la stessa quantità di benzina?
Mi dispiace per le molte persone che stanno morendo per il virus, ma non riesco a non pensare ai 3 morti il giorno, in media, che causano gli incidenti sul lavoro in Italia: per quelli, né l’OCSE, né l’UE, né il FMI spendono mai una parola.
Passato il Coronavirus, resteranno i soliti poveracci schiacciati da un masso che cade, precipitati da un viadotto, morti per uno scambio ferroviario mal montato, folgorati da un impianto difettoso, gasati dalle esalazioni non previste…e nessuno, purtroppo, se ne ricorderà. Mai.
Perché?
Perché bisogna vincere la guerra dei profitti e dei consumi, battere i competitori senza pietà: ancora una volta, come sempre.
1) http://www.isprambiente.gov.it/public_files/cicli_produttivi/Acciaio/Rapporti38_2003Capitolo2.pdf
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