Il terreno di coltura è tutto disse Pasteur, e quello liberista è ottimale per qualsiasi epidemia.
Non ci sono molte certezze in questi giorni di epidemia da Coronavirus ma di sicuro si può dire che la gravità delle misure da adottare per contenere il fenomeno è inversamente proporzionale alla quantità di risorse disponibili per affrontare l’emergenza.
L’intensità della minaccia nasce dalla debolezza delle società liberiste, questo è l’elefante nella stanza che si aggira indisturbato, fondendosi con l’elefante in cristalleria, mentre il topolino del virus attira tutta l’attenzione dei presenti.
Il primo punto debole delle società liberiste è il dogma della libera circolazione di ogni cosa, dalle merce ai capitali alle persone e infine anche dei virus, questo principio intangibile, unito ai mezzi di trasporto attuali, implica una velocissima e incontrollata diffusione di qualsiasi microrganismo.
Considerando la teoria dei “sei gradi di separazione” la possibilità che un microrganismo raggiunga in un tempo ragionevolmente breve ogni abitante della Terra è elevata, questo rende in definitiva impossibile circoscrivere un’epidemia che si verifichi in un paese che non sia già in origine fortemente isolato da barriere naturali e sociali.
Che un’epidemia non si possa bloccare una volta superati certi limiti, ma solo rallentare, è stato affermato senza contrasti nel mondo scientifico, la questione è riassumibile nel seguente grafico Apparso su Repubblica.
Quello che determina la gravità dell’epidemia non è quindi il numero assoluto dei contagiati totali ma quanti lo saranno nello stesso momento, la vulnerabilità dei singoli individui non varia ma cambia la capacità del sistema sanitario di farvi fronte.
Ed ecco il secondo punto debole delle società liberiste, la capacità di far fronte all’emergenza dipende dal numero di strutture disponibili, ma in osservanza al principio delle “spending review” e delle privatizzazioni, le risorse della sanità pubblica e il numero dei posti letto sono stati ridotti drasticamente.
Trentasette miliardi di Euro in dieci anni con 43.000 dipendenti in meno sono il “risparmio”ottenuto seguendo le ricette neoliberiste pagate nel frattempo con le innumerevoli sofferenze di larghi strati della popolazione che hanno visto una drammatica riduzione dell’assistenza sanitaria e un logorante dilatarsi dei tempi di prestazione.
In conformità ai principi malthusiani solo i più abbienti hanno potuto mantenere un livello di assistenza adeguato pagandolo presso la sanità privata, tagli e privatizzazioni colpiscono selettivamente le classi più deboli.
Ma il paradosso finale è nel fatto che i soldi “risparmiati” in 10 anni di tagli saranno adesso pagati con gli interessi per via dei danni che l’epidemia gestita in condizioni di inadeguatezza comporta e comporterà al sistema economico del Paese.
In tutto questo la presenza di un dogma socioeconomico neoliberista mette sotto accusa i meccanismi democratici rivendicando l’esautorazione delle autorità locali e mettendo da parte le regole della democrazia.
La diagnosi per i problemi prodotti dal liberomercatismo è sempre che c’è troppa democrazia e ci vuole più libero mercato.
“Il terreno è tutto, il microbo è nulla” viene riferito che abbia riconosciuto Pasteur prima di morire, e se la società può essere considerata un grande organismo, quella liberista, intrinsecamente indebolita e depressa, è un terreno ideale per ogni genere di patologie e di infezioni.
Il caso del COVD19 conferma quindi drammaticamente alcune cose:
– il sistema del libero mercato è autodistruttivo e implica emergenze sistemiche
– le politiche di spending review indeboliscono la società
– il dogma neoliberista impedisce di vedere le cause dei problemi da lui stesso causati
– l’informazione è incapace di vedere e denunciare i problemi reali
– ogni problema viene strumentalizzato come prova di un fallimento del sistema democratico
Ma la conferma più importante è che il liberismo è un sistema autodistruttivo che prima di collassare su sé stesso eroderà ogni realtà circostante.
Quel che si può fare è fronteggiare il più possibile le crisi generate dal dogma neoliberista e le sue ricadute sui singoli, proteggersi dalle conseguenze di quella banalità del male per ora impossibile da sconfiggere e sin da ora mettersi a lavorare per preparare quel ‘dopo’ che inevitabilmente arriverà.