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sabato 18 aprile 2020

Smart Working è regresso

Con la quarantena che ha sdoganato il lavoro da casa, 
è importante riflettere sul rischio legato 
alla privatizzazione del tempo libero.
di Giancarlo Chiarucci - 18 Aprile 2020 

Il termine smart working è ormai l’espressione più diffusa di questi tempi. Inflazionata, con lo stesso compiaciuto atteggiamento tipico di coloro i quali hanno appena scoperto una nuova dottrina new ageuna sensazionale innovativa dieta nella quale il segreto è consumare un piatto di carbonara tutti i giorni a colazione, oppure una nuova fiammante app che “negli States usano tutti”. Certo, dirlo in inglese rende tutto grandioso. Si potrebbe pensare di usare allora termini quali “lavoro agile” o “lavoro intelligente”, ma va da sé che, oltre all’orrenda traduzione di uno e all’insensatezza dell’altro, entrambi non realizzerebbero quella sensazione di esotismo che inganna la nostra mente, facendoci apparire come personaggi dell’ultima generazione, piuttosto che comuni mortali, pronti a lavorare da casa, vestiti anche male. L’anglicizzazione dei termini tende a confonderne il significato reale, facendolo apparire più bello ed innovativo di quello che in realtà è. Dire che si è stati assunti come “Assistant executive retail” è più gradevole di fare il commesso in un negozio, così come informare i passeggeri del treno Italo di rivolgersi al “train manager” anziché al capotreno, fa sembrare tutto più avveniristico. Uccidendo con un colpo solo sia la lingua italiana che il romanticismo di quella figura evocativa. Allo stesso modo, il termine “smart working” rischia di confondere ed occultare la pericolosità che si cela dietro il comodo lusso di lavorare dal divano, in pantofole. 
Nel libro Realismo Capitalista, Mark Fisher riprende una frase -attribuita di volta in volta a Fredric Jameson o Slavoj Žižek- nella quale nota come “è più facile immaginare la fine del mondo, che la fine del capitalismo”, quasi profetizzando i giorni nostri, ai quali il mondo è chiamato con fatica a sopravvivere, ed ai quali, invece, il capitalismo sembra riuscirvi benissimo. Forte di quell’assenza di alternative, per cui per istituzioni, aziende e cittadini “il capitalismo occupa semplicemente tutto l’orizzonte del pensabile”.  La pandemia ha smascherato, o meglio, confermato, come il sistema economico sia stato costruito per favorire il pesce più grande: il supermercato, il centro commerciale, la multinazionale. Ne è la prova Amazon che, mentre le nostre piccole e medie imprese -reale motore dell’economia- fanno i conti con bandi, prestiti e sussidi incerti, viaggia a vele spiegate verso nuovi traguardi di fatturato. Neanche un mese fa infatti, ha annunciato l’assunzione di centomila nuovi dipendenti, per poi rincarare la dose, annunciandone in aggiunta altri settantacinquemila. “Le grandi navi sanno già dove andare” cantava Fabrizio de André, con senso molto più poetico. C’è da chiedersi a questo punto se la regolarizzazione del lavoro da casa, davvero rappresenti un progresso sociale, da annoverarsi nei diritti del lavoratore, o se non rappresenti invece il prossimo stadio nella privatizzazione del suo tempo privato, costringendolo ad una reperibilità costante, caratteristica un tempo soltanto dei chirurghi. 
Viene da chiedersi, inoltre, se l’isolamento quotidiano non infici la capacità, necessaria, di ciascuno di noi, di sapersi confrontare con la presenza fisica di altre persone, specialmente di quelle che detestiamo vedere. Diventando così ancora più soggetti ed inclini all’accettazione soltanto di ciò che conosciamo, che a noi piace, per rinchiuderci così “in quello spazio privato degli affetti e delle differenze” che come notò Fisher: “è complementare al dominio dello stato neoliberale”. La città è il luogo dove le persone realizzano la comunità, non le case, dove invece se ne riparano. Confrontarsi ed imbattersi quotidianamente solamente in ciò che conosciamo, e che abbiamo preventivamente accettato, limita le infinite sfaccettature della verità. Impedisce al pensiero di formularsi critico, capace di distinguere il vero dal falso, il bene dal male, finendo per accogliere senza filtri tutto ciò che l’informazione dominante ci consegna con i propri canali di comunicazione, asserviti al proprio messaggio da convogliare. Lavorare da casa può essere comodo, ma è proprio con la promessa della comodità, oltre che con la paura, che si mal governa. Ed è con la semantica che, quel mal governare, lo si rende un’opera per cui essere grati. Pensateci, quando volete dar da mangiare ad un bambino che rifiuta il cibo, non gli fate anche voi l’aeroplano?

https://www.lintellettualedissidente.it/cartucce/smart-working-e-regresso/

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