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giovedì 16 aprile 2020

Gli USA indagano sul laboratorio di Wuhan


di Enrica Perucchietti

Dirigenti dell’intelligence USA e della sicurezza nazionale americana stanno esaminando tra le possibilità quella che il Covid-19 sia nato, più che in un mercato, nel laboratorio di biosicurezza di Wuhan e che si sia diffuso a causa di un incidente.
Ieri il «Washington Post» aveva riportato la notizia di due cable di diplomatici USA a Pechino che nel 2018 ammonivano sulle carenze del laboratorio di virologia di Wuhan.
Facciamo un passo indietro e vediamo come approfondire questa ipotesi non sia materia da cospiratori come alcuni vorrebbero invece far intendere.

LE IPOTESI ALTERNATIVE

Fin da gennaio, quando ormai il contagio in Cina era noto da tempo e largamente diffuso, sono trapelate delle notizie “alternative”, che ci permettono di rivedere e analizzare in modo diverso – senza avere la presunzione di ottenere una risposta definitiva – alcuni cruciali accadimenti, in modo da interpretare e offrire una visione d’insieme altrettanto “credibile” su cui si stanno focalizzando ricercatori, scienziati e analisti a livello globale.
Come documento nel mio libro Coronavirus. Il nemico invisibile, in attesa di ulteriori scoperte e riscontri ci troviamo di fronte a una questione complicata e spinosa.

IL LABORATORIO DI BIOSICUREZZA DI WUHAN

In molti si sono chiesti se, come accaduto altre volte in passato, non possa essere esserci stata una fuoriuscita del virus chimera dal laboratorio di biosicurezza Wuhan.
Progettato per studiare la prevenzione e il controllo delle malattie infettive emergenti e pertanto i virus più letali per l’uomo, il laboratorio nazionale di biosicurezza livello-4 di Wuhan è costato circa 300 milioni di yuan, pari a 44 milioni di dollari.
Secondo la rivista «Nature» vi vengono studiati i «patogeni più pericolosi al mondo».

QUANDO L’ANTRACE SCAPPÒ DAL LABORATORIO AMERICANO DEL CDC

L’attenzione per i rischi per la collettività riguardo a simili strutture è cresciuta nel 2014 a seguito di un incidente nel laboratorio del Centre for Disease Control (CDC) americano.
Diverse violazioni alle procedure che regolano la manipolazione e la conservazione di agenti patogeni in laboratorio, provocarono l’esposizione di almeno 86 impiegati del CDC all’antrace.
Sebbene negli USA dopo questo incidente si sia cercato di raggiungere una maggiore trasparenza, nel 2018, la rivista «The Lancet» evidenziava come le statistiche sul numero di violazioni ai protocolli di biosicurezza nei circa 1500 laboratori statunitensi autorizzati a condurre tali ricerche fosse praticamente sconosciuta.
Questo accadeva due anni fa, non in un tempo remoto. Se questo avviene negli Stati Uniti, nessuno garantisce cosa possa accadere nel resto del mondo dove i protocolli risultano meno chiari e più nebulose le informazioni…

IL VIRUS POTREBBE ESSERE SCAPPATO DAL LABORATORIO?

A sollevare dei dubbi sulla sicurezza del laboratorio cinese sono stati numerosi ricercatori e giornalisti.
In Italia Paolo Liguori in diretta al TgCom24 ha riferito la possibilità che il focolaio del Covid-19 potrebbe aver avuto origine
«dal laboratorio di Wuhan, di cui le riviste occidentali si erano già interessate».
Il Direttore ha mostrato la copertina della rivista scientifica «Nature» del 2017, con l’articolo di David Cyranoski, in cui si sollevavano già allora dubbi sulla sicurezza di un laboratorio del genere.
Cyranoski accennava pertanto all’allarme sollevato da diversi scienziati, preoccupati per l’eventuale fuga di agenti patogeni dal laboratorio di Wuhan.
A riprova che un’epidemia, nel momento in cui si trafficano provette contenenti virus pericolosi, può scatenarsi anche senza un obiettivo di attacco bioterroristico, ma per errore umano. Potrebbe essere il caso della pandemia di Covid-19?

L’INCHIESTA DI STEVEN MOSHER

A riproporre la tesi alternativa del virus chimera creato in laboratorio è stata un’inchiesta del «New York Post» curata dal giornalista Steven W. Mosher [1].
Nell’articolo leggiamo che durante una riunione d’emergenza che si è tenuta venerdì 21 febbraio a Pechino, il leader cinese Xi Jinping avrebbe parlato non solo della necessità di contenere la pandemia, ma anche di istituire un sistema per prevenire simili epidemie in futuro. L’obiettivo sarebbe quello di creare un sistema nazionale per il controllo dei rischi per la biosicurezza «per proteggere la salute delle persone» perché la sicurezza dei laboratori è una questione di «sicurezza nazionale»[2].
Secondo Mosher, inoltre, la Cina avrebbe un problema a controllare gli agenti patogeni pericolosi, in particolare nel laboratorio di Wuhan, l’epicentro dell’epidemia, concordando indirettamente con quanto scritto da Cyranoski su «Nature»[3] nel 2017.

LE CAVIE VENGONO RIVENDUTE AI MERCATI?

Veniamo ora a un punto davvero inquietante che meriterebbe di essere adeguatamente approfondito.
Mosher ha ricordato una pratica comune dei ricercatori cinesi: vendere gli animali da laboratorio agli ambulanti dopo avere finito di usarli come cavie nei loro gli esperimenti, invece di cremarli.
Infatti, anziché smaltire correttamente gli animali infetti mediante la cremazione, come richiesto dalla legge, gli animali verrebbero venduti in modo da ottenere un guadagno extra. Ad esempio, One Bejing, un ricercatore di Pechino, che ora si trova in prigione, ha guadagnato un milione di dollari vendendo le sue scimmie e i suoi topi nel mercato degli animali, finiti di certo nello stomaco di qualcuno ignaro della loro provenienza, sempre secondo il «New York Post».
La conclusione di Mosher è che il virus potrebbe essere stato portato fuori dal laboratorio da un lavoratore infetto o potrebbe aver infettato degli ignari clienti del mercato ittico dopo aver mangiato un animale rivenduto dal laboratorio.
«Qualunque sia il vettore», conclude Mosher «le autorità di Pechino ora stanno chiaramente cercando di correggere i gravi problemi nel modo in cui i loro laboratori gestiscono agenti patogeni mortali».
 fonte : https://enricaperucchietti.blog/2020/04/16/covid-19-gli-usa-indagano-sul-laboratorio-di-wuhan/
[2] Ibidem.

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