Via i Benetton dalle Autostrade!
Lo scandalo dei report truccati: neanche questo basterà a togliergli le concessioni?
«Nazionalizzare le autostrade», scrivemmo a caldo lo scorso anno subito dopo la tragedia (ed il crimine) di Genova. In quei giorni diversi esponenti dell'allora governo gialloverde, con Di Maio in testa, dicevano di voler intanto togliere le concessioni ad Autostrade per l'Italia (Aspi), ovvero ai Benetton.Poi le cose andarono in maniera ben diversa. Non solo il Pd prese le difese della società autostradale, non solo la grande stampa sistemica tuonò per settimane sulla minaccia delle penali da pagare, ma fu la Lega - in ambito governativo - a stoppare ogni iniziativa di revoca delle concessioni.
Gli argomenti di quella campagna pro-Benetton furono i soliti di sempre. Quando si toccan lorsignori il garantismo dei loro amici è sempre commovente. Mica vorrete affamare i Benetton per un solo incidente, mica è stata colpa loro! E soprattutto, mica vorrete tornare allo "statalismo", viva il privato e la sua mitica efficienza!
In realtà i motivi per farla finita con i Benetton (e i loro simili) c'erano eccome. Così scrivevamo sullo scandalo del meccanismo delle concessioni autostradali:
«I "Signori del casello" - con i Benetton in prima fila - han trovato la gallina dalle uova d'oro. Tanti profitti e nessun rischio, il tutto garantito da convenzioni scandalose, frutto del Decreto Legge 3 ottobre 2006 n° 262, primo ministro Romano Prodi, ministro dell'Economia Tommaso Padoa Schioppa (viva l'Europa!), ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro, ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi (indipendente in quota Pdci!). Come dire, il centrosinistra al gran completo! E Rifondazione Comunista che oggi chiede di "fare un bilancio delle privatizzazioni", forse farebbe bene a fare anche un bilancio della propria storia politica.
Del resto la vecchia Società Autostrade (gruppo IRI) fu privatizzata nel 1999 dal governo D'Alema, mentre la stessa convenzione con Autostrade per l'Italia dei Benetton è del 2007, cioè avvenne sempre ad opera del governo Prodi II.
Sui frutti avvelenati di queste scelte consigliamo la lettura di quanto pubblicato dall'insospettabile Business Insider il 7 febbraio scorso, cioè 6 mesi prima del dramma genovese. Questo l'incipit di un articolo ben documentato e ricco di dati:
"Una concessione autostradale è per sempre e l’aumento dei pedaggi arriva puntuale il 1° gennaio di ogni anno. Sono le due regole ferree che governano il cosmo delle autostrade. Un universo popolato da pochissimi eletti – la “Compagnia del Casello”, 25 società dove la parte del leone la fanno Benetton, Gavio e alcuni enti locali – che fanno affari d’oro a fronte di rischi d’impresa praticamente nulli. Una rendita di posizione assicurata da intese segretate, da gare quasi mai fatte; da investimenti promessi e realizzati solo in parte; da rivalutazioni finanziarie che assicurano rendimenti oltre l’8% annuo; da lavori decisi per “migliorare il servizio”, dove i maggiori introiti vanno ai concessionari, mentre le spese ricadono sugli utenti. Insomma, se non sapete cosa fare nella vita, accettate un consiglio: accaparratevi una concessione autostradale, vi renderà ricchi".
Ma pure il Corriere della Sera online è adesso costretto a fare alcune ammissioni. Nel 2017 Autostrade per l'Italia (controllata al 100% da Atlantia), che gestisce 2964 km sui 6668 dell'intera rete autostradale, ha avuto ricavi per 3,9 miliardi di euro, con un margine operativo di 2,4 miliardi ed un utile di ben 968 milioni di euro. Da notare che il costo della concessione, che la società versa allo Stato, è pari ad un modestissimo 2,4% dei ricavi al netto dell'Iva, cioè alla miseria di 73 milioni annui!». [da "Nazionalizzare le autostrade" del 16 agosto 2018]
Questo scrivevamo un anno fa. Ne riparliamo adesso a seguito degli arresti dell'altro ieri nell'ambito delle indagini sulle irregolarità commesse dalla società Spea, anch'essa del Gruppo Atlantia, al pari di Aspi. Dirigenti e tecnici della Spea sono sotto accusa per aver falsificato, edulcorandoli, i report sulle strutture autostradali controllate (in particolare si parla di 6 viadotti), al fine di evitare costosi interventi ad Autostrade per l'Italia.
Per rendersi conto della gravità di quanto sta emergendo, riportiamo più sotto quanto scritto dal Corriere della Sera del 13 settembre.
Vedremo se lo scandalo della falsificazione delle relazioni sulla sicurezza riaprirà davvero la questione della revoca delle concessioni. Il Pd adesso sembrerebbe disponibile alla revoca, ma - udite, udite... - solo per il tratto genovese della A10! Cioè, tu metti a rischio consapevolmente la vita di milioni di utenti autostradali (le irregolarità emerse non riguardano solo la Liguria, ma anche altre regioni) ed io ti do un buffetto! Una posizione che grida vendetta.
Se così andassero le cose, se chi gestisce le autostrade - incassando peraltro pedaggi d'oro - può impunemente falsificare i report dei controlli senza perdere il grosso delle concessioni, saremmo allora ad uno vergogna senza precedenti.
Speriamo proprio che non vada così. Ma dal governo della restaurazione questo ed altro possiamo aspettarci.
Nel nostro piccolo, per quanto ci riguarda, non possiamo far altro che gridare a gran voce l'unica posizione politicamente e moralmente sensata: revoca di tutte le concessioni! Via i Benetton dalle autostrade! Nazionalizzazione!
PS - Siccome proprio nulla ci facciamo mancare in questo disgraziato Paese, ecco che Edizione, holding di famiglia dei Benetton, ha pensato bene di esprimere: «il suo sgomento e il suo turbamento per quanto emerso nelle ultime ore a seguito della doverosa attività svolta dall’Autorità Giudiziaria». Questi vorrebbero anche prenderci in giro. I loro uomini baravano alla grande per tutelarne gli interessi, ma loro (un po' come lo Scajola dell'appartamento donato a sua insaputa) mica lo sapevano... Ma si può?
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Genova, i dossier e le telefonate segrete: «Il ponte è insicuro, andrebbe chiuso»(Corriere della Sera online del 13 settembre)Dalle intercettazioni dopo il crollo del Morandi: «Il viadotto Pecetti è al limite della sua resistenza, più andiamo oltre e più rosicchiamo i margini di sicurezza»
di Andrea Pasqualetto, inviato a Genova apasqualetto@corrierere.it
GENOVA «Non è possibile una superficialità così spinta dopo il 14 agosto, ciò vuol dire che la gente coinvolta non ha capito veramente un c..., ma proprio eticamente». È il 19 ottobre 2018, due mesi dopo il disastro del ponte Morandi. Andrea Indovino, responsabile della sorveglianza di Spea, oggi indagato per falso ideologico e interdetto venerdì dal gip di Genova Angela Maria Nutini, parla in questi termini con una collega della stessa società, Serena Alemanni. Oggetto della conversazione telefonica è il viadotto Pecetti sulla A26, gestito da Autostrade per l’Italia, dove la notte tra il 21 e il 22 ottobre doveva transitare un trasporto eccezionale di 141 tonnellate.
Il viadotto Pecetti
Indovino, che non sa di essere intercettato, si dice preoccupato perché dalle analisi eseguite, l’opera è «estremamente tirata». Segnala che la verifica di transitabilità non è soddisfatta. «Più andiamo oltre e più rosicchiamo i margini di sicurezza... soprattutto perché siamo tutti consapevoli che nessuno ha fatto la tac a quel viadotto... è un viadotto che ha delle problematiche... alcune sono manifeste...». Indovino parla di mancanza di «sensibilità» con una struttura che viene portata «al limite della sua resistenza... con un ponte che è appena venuto giù».
Le incongruenze
Due giorni prima il manager aveva inoltrato una mail alla stessa collega, scrivendole che «il viadotto restituisce esiti appena superiori all’ammissibilità e quindi privi di significativi margini di sicurezza... riceviamo incongruenza nei documenti d’archivio». Ci sarebbe un’incongruenza fra progetto e costruzione. «Non avendo livelli di sicurezza soddisfacenti... risulterebbe una bocciatura del transito» aggiunge.
Pesante e spregiudicato
La decisione è difficile, Indovino sente di dover bloccare il tir, anche il collega Ferretti (responsabile della direzione opere d’arte di Spea, finito ai domiciliari) gli consiglia di rimandare tutto al mittente, cioè Autostrade (Aspi), ma lui però tentenna perché «il mittente è pesante». Pesante e spregiudicato, secondo il gip di Genova, che ricorda come Gianni Marrone, il direttore dell’ottavo tronco di Aspi arrestato venerdì per il ponte Paolillo, eviti deliberatamente di consegnare all’ispettore del ministero dei Trasporti e alla polizia giudiziaria della documentazione su quella struttura. «La logica di un simile generalizzato comportamento sembra da ricondurre a uno spirito di corpo aziendale, probabilmente motivato dal tornaconto economico», scrive il giudice, ricordando una conversazione fra Paolo Berti e Michele Donferri, l’ex numero tre e l’ex direttore manutenzioni di Aspi indagati per il disastro del Morandi, nella quale il primo «manifesta il proprio disappunto per essere stato condannato ad Avellino, lamentandosi che avrebbe potuto dire la verità e così mettere nei guai altre persone. Donferri gli risponde che non ci avrebbe guadagnato nulla mentre così può “stringere accordi col capo”».
Il sospiro di sollievo
Spirito di corpo che, tornando alla vicenda del camion da 141 tonnellate, avrebbe spinto Indovino, nonostante la preoccupazione, a temporeggiare «prima di dire no secco (al transito, ndr), perché poi alla fine ti chiedono nuovamente il perché, mi sembra corretto esplorare tutte le possibilità in modo razionale». Richiede, dunque, più informazioni sul ponte. E decide di scrivere una mail a Massimiliano Giacobbi (domiciliari) e Massimo Meliani di Spea, nella quale sottolinea «la situazione di non perfetta efficienza del manufatto...». Risultato? Spea firma per il transito, il tir passa nella notte tra il 21 e il 22 ottobre. E tutti tirano un sospiro di sollievo. «È transitato». «Ok va bene».
Leonardo Mazzei -13 settembre 2019
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