Neoliberismo: il killer del secolo?
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di Uhura
Non posso crederci. Leggo la notizia che mi lascia senza parole. E’ accaduto ancora. Catania, una giornata di fine estate ancora molto calda: un papà ha dimenticato il suo bambino nel parcheggio del posto di lavoro e solo all’ora di pranzo, allertato da una telefonata della moglie, si rende conto di ciò che è accaduto. Si precipita verso il parcheggio per constatare che il suo bambino è lì, privo di conoscenza : guida come un forsennato fino all’ospedale ma per il suo piccolo non c’è più nulla da fare. Muore così l’ennesimo bambino dimenticato per ore, in macchina , sotto il sole ed inizia così una ennesima tragedia per due genitori che nulla di male hanno fatto se non vivere in un’ epoca folle che ci sta annientando tutti. Questo bambino ha pagato con la vita una disattenzione che non mi sento – in tutta franchezza – di attribuire esclusivamente ad una “imperdonabile distrazione” (come vorrebbero certuni) di un povero padre distrutto dalla tragedia e da un inevitabile senso di colpa.
Sono fatti che accadono sempre più spesso e credo sia venuto il momento di provare a dargli un’interpretazione altra da quella comunemente offerta. Gli psicologi ( che non sono sociologi) hanno il compito di fornire una spiegazione che rimane confinata sul piano individuale e che si fa interprete di meccanismi nei quali può incorrere una persona stressata; il compito dello psicologo si esaurisce quindi nell’analisi del fenomeno sul fronte individuale. Tuttavia, il singolo individuo è inserito in un contesto sociale che sovente detta regole anche impietose.
Soccorre una locuzione per addetti ai lavori che spiega il fenomeno preso singolarmente: amnesia dissociativa, per curare la quale si propone – ovviamente - una psicoterapia. Nessuno spiega se la cura possa essere anche preventiva e chi scrive ha l’impressione che sia un rimedio adottato quando i proverbiali buoi sono ormai fuggiti dalla stalla.
L’ amnesia dissociativa è un disturbo solitamente dovuto a stress o a situazioni di particolare tensione e stanchezza fisica e mentale, oppure può essere legata a traumi, come abusi o altre esperienze negative dell'infanzia e del passato. I segnali di questo disturbo sono svariati: stress e stanchezza sono spesso accompagnati a difficoltà a dormire, a concentrarsi e a ricordare le cose, irritabilità e tendenza ad "agire in automatico". Se si ravvisano questi sintomi, secondo gli esperti, è bene consultare un medico.
E’ questa una spiegazione decontestualizzata dall’ambiente sociale in cui viviamo e che indugia sul come ma non sul perché si verificherebbe quest’amnesia. Fermarsi all’analisi del singolo fenomeno, avulso dal contesto sociale nel quale si verifica, rischia di precipitarci in una lettura miope, parziale e fuorviante che non permette per ciò stesso nemmeno di comprenderlo nella sua portata per impedire così che tragedie del genere possano verificarsi con tale frequenza. Detto altrimenti, la reductio di questo fenomeno ad un cortocircuito della memoria a breve termine mentre ci si sta dedicando a compiti ripetitivi e routinari e si è particolarmente stressati descrive la conseguenza, non la causa del fenomeno.
Ho sentito troppe volte persone, con uno scarsissimo grado di empatia, scagliarsi contro questi poveri cristi, già martoriati dai sensi di colpa dai quali probabilmente mai più riprenderanno, sorvolare sugli aspetti sociali di questa amnesia dissociativa.
Mi corre l’obbligo di far preliminarmente osservare che fino a circa trent’anni fa questo genere di accadimenti non si verificavano, per lo meno a mia memoria.
Che sia una moda giornalistica, quella di raccontare eventi che prima accadevano egualmente ma non trovavano uno spazio adeguato in cronaca? Non ritengo sia questo il caso.
Chiamo in causa, senza tanti giri di parole, quel fenomeno abominevole che va sotto il nome di neoliberismo e che da corrente economico-politica si è trasformato in uno stile di vita che permea di sé ogni aspetto della nostra esistenza (anche , insospettabilmente, nel privato) spingendo la nostra società verso uno stato patologico. Perché evidentemente sì, un’intera società può essere malata, con buona pace della signora Margareth Thatcher che ebbe l’ardire di sostenere che “La Società non esiste”.
Uno studio recente suggerisce che l’aspettativa di vita è scesa ovunque tra i paesi ad alto reddito e che gli ansiolitici sono tra i farmaci più acquistati in Italia. Viviamo in uno stato di ansia perenne ( pur con diversi gradi di sfumature) alla quale è difficile che sfugga la più equilibrata delle persone.
Ci hanno persuasi che per essere felici dobbiamo essere produttivi: produttività e competizione sono la cifra del nostro tempo, le divinità alle quali dobbiamo votarci rinunciando ad una vita fatta a misura d’uomo. Quindi, rinuncia alla calma, alla pacatezza ,ai ritmi naturali, alle cose giuste fatte nei modi giusti e con i giusti tempi, ad una voce modulata (avete fatto caso che oggi gridano tutti?), alla collaborazione soppiantata ormai dalla sopraffazione ( se non ti frego io mi fregherai tu) a quel “festina lente” che era la saggezza dei nostri padri e che non siamo più in grado di recuperare. Velocità, tempo riempito ovunque e comunque (tanto che un tempo non riempito ci angoscia )competizione, finta socialità (o insocievole socievolezza, che dir si voglia), arrivismo.
Un tale aberrante stravolgimento di valori, una tale inversione dell’ordine naturale (con il carico di implicazioni che questo aggettivo porta con sé) delle cose, l’instillazione di falsi bisogni, portano con sé, inevitabilmente, mutamenti radicali nel nostro modo di vivere i cui effetti sono ben evidenti: siamo talmente pressati, distratti, stressati , ansiosi,rabbiosi, angosciati che alcuni di noi arrivano persino a dimenticarsi il bene più grande che hanno.
I dis- valori propugnati dal Neoliberismo - che permeano oramai non solo i mercati ma hanno invaso il quotidiano delle persone - sono quelli che ci stanno conducendo sull’orlo del baratro. E’ un’ ideologia che si è radicata a livello profondo e le cui conseguenze (che abbiamo sommariamente descritto) sono sotto gli occhi di tutti. Ce l’ha imposta la classe dominante ma l’abbiamo supinamente accettata ed ora ne stiamo pagando – consapevolmente o meno - le conseguenze.
Chi legge potrà legittimamente domandarsi dove ravvisare il collegamento tra il libero mercato, la competizione, lo stile di vita che abbiamo adottato ed il prodursi di tragedie come quella descritta.
Ebbene, ritengo che sia proprio a causa dell’interiorizzazione di questi dis- valori che ci siamo dimenticati cosa significhi essere umani. Per inseguire una chimera, un’illusione, peggio, una follia, stiamo sacrificando il nostro ben – essere (scritto staccato di proposito, per contrapposizione a “benessere” inteso come agiatezza e prosperità o peggio crescita illimitata) e la nostra felicità.
Siamo una società malata: prima ce ne rendiamo conto , meglio sarà per tutti. Abbiamo confuso i mezzi con i fini, l’esistere con il vivere, l’essere con l’avere (per dirla con Fromm).
Altro che psicoterapia, qui ci vuole una brusca inversione di rotta che ci riconduca tutti a vivere come uomini e donne e non come automi di una produzione in serie.
Non fosse ancora abbastanza chiaro, ci stiamo facendo portare via tutto, anche i figli. Quando si dimentica un bambino in macchina perché il cervello ha fatto tilt, è venuto il momento di fermarci tutti, riflettere, recuperare il senso vero della vita, i valori eterni ed immutabili ai quali dovremmo conformarci e di pretendere da noi stessi e dalla collettività (alias Lo Stato) un’ inversione di rotta non più rimandabile.
Smettiamola di farci sedurre dal mito della produttività , della competitività e della laboriosità, e recuperiamo il senso della collettività, della solidarietà, della misura, del lavoro che ci serve per vivere e non della vita che va consumata lavorando.
E’ un’epoca, la nostra, che non conosce più la misura. E come i Greci ci hanno insegnato, la perdita della misura annuncia la tragedia.
Riappropriarci di un sistema valoriale autentico è l’unica via che ci permetterà di vivere bene e di scongiurare il verificarsi di tragedie evitabili come quella occorsa.
Solo un mutamento culturale forte e compatto contro il neoliberismo potrà tirarci fuori da questa situazione aberrante.
E quando mi si obbietterà che rinunciando avremo di meno, risponderò che a volte di meno significa di più.
Cosa potremmo dimenticarci di più importante di un figlio che ci costringa finalmente a riflettere?
Mi corre l’obbligo di far preliminarmente osservare che fino a circa trent’anni fa questo genere di accadimenti non si verificavano, per lo meno a mia memoria.
Che sia una moda giornalistica, quella di raccontare eventi che prima accadevano egualmente ma non trovavano uno spazio adeguato in cronaca? Non ritengo sia questo il caso.
Chiamo in causa, senza tanti giri di parole, quel fenomeno abominevole che va sotto il nome di neoliberismo e che da corrente economico-politica si è trasformato in uno stile di vita che permea di sé ogni aspetto della nostra esistenza (anche , insospettabilmente, nel privato) spingendo la nostra società verso uno stato patologico. Perché evidentemente sì, un’intera società può essere malata, con buona pace della signora Margareth Thatcher che ebbe l’ardire di sostenere che “La Società non esiste”.
Uno studio recente suggerisce che l’aspettativa di vita è scesa ovunque tra i paesi ad alto reddito e che gli ansiolitici sono tra i farmaci più acquistati in Italia. Viviamo in uno stato di ansia perenne ( pur con diversi gradi di sfumature) alla quale è difficile che sfugga la più equilibrata delle persone.
Ci hanno persuasi che per essere felici dobbiamo essere produttivi: produttività e competizione sono la cifra del nostro tempo, le divinità alle quali dobbiamo votarci rinunciando ad una vita fatta a misura d’uomo. Quindi, rinuncia alla calma, alla pacatezza ,ai ritmi naturali, alle cose giuste fatte nei modi giusti e con i giusti tempi, ad una voce modulata (avete fatto caso che oggi gridano tutti?), alla collaborazione soppiantata ormai dalla sopraffazione ( se non ti frego io mi fregherai tu) a quel “festina lente” che era la saggezza dei nostri padri e che non siamo più in grado di recuperare. Velocità, tempo riempito ovunque e comunque (tanto che un tempo non riempito ci angoscia )competizione, finta socialità (o insocievole socievolezza, che dir si voglia), arrivismo.
Un tale aberrante stravolgimento di valori, una tale inversione dell’ordine naturale (con il carico di implicazioni che questo aggettivo porta con sé) delle cose, l’instillazione di falsi bisogni, portano con sé, inevitabilmente, mutamenti radicali nel nostro modo di vivere i cui effetti sono ben evidenti: siamo talmente pressati, distratti, stressati , ansiosi,rabbiosi, angosciati che alcuni di noi arrivano persino a dimenticarsi il bene più grande che hanno.
I dis- valori propugnati dal Neoliberismo - che permeano oramai non solo i mercati ma hanno invaso il quotidiano delle persone - sono quelli che ci stanno conducendo sull’orlo del baratro. E’ un’ ideologia che si è radicata a livello profondo e le cui conseguenze (che abbiamo sommariamente descritto) sono sotto gli occhi di tutti. Ce l’ha imposta la classe dominante ma l’abbiamo supinamente accettata ed ora ne stiamo pagando – consapevolmente o meno - le conseguenze.
Chi legge potrà legittimamente domandarsi dove ravvisare il collegamento tra il libero mercato, la competizione, lo stile di vita che abbiamo adottato ed il prodursi di tragedie come quella descritta.
Ebbene, ritengo che sia proprio a causa dell’interiorizzazione di questi dis- valori che ci siamo dimenticati cosa significhi essere umani. Per inseguire una chimera, un’illusione, peggio, una follia, stiamo sacrificando il nostro ben – essere (scritto staccato di proposito, per contrapposizione a “benessere” inteso come agiatezza e prosperità o peggio crescita illimitata) e la nostra felicità.
Siamo una società malata: prima ce ne rendiamo conto , meglio sarà per tutti. Abbiamo confuso i mezzi con i fini, l’esistere con il vivere, l’essere con l’avere (per dirla con Fromm).
Altro che psicoterapia, qui ci vuole una brusca inversione di rotta che ci riconduca tutti a vivere come uomini e donne e non come automi di una produzione in serie.
Non fosse ancora abbastanza chiaro, ci stiamo facendo portare via tutto, anche i figli. Quando si dimentica un bambino in macchina perché il cervello ha fatto tilt, è venuto il momento di fermarci tutti, riflettere, recuperare il senso vero della vita, i valori eterni ed immutabili ai quali dovremmo conformarci e di pretendere da noi stessi e dalla collettività (alias Lo Stato) un’ inversione di rotta non più rimandabile.
Smettiamola di farci sedurre dal mito della produttività , della competitività e della laboriosità, e recuperiamo il senso della collettività, della solidarietà, della misura, del lavoro che ci serve per vivere e non della vita che va consumata lavorando.
E’ un’epoca, la nostra, che non conosce più la misura. E come i Greci ci hanno insegnato, la perdita della misura annuncia la tragedia.
Riappropriarci di un sistema valoriale autentico è l’unica via che ci permetterà di vivere bene e di scongiurare il verificarsi di tragedie evitabili come quella occorsa.
Solo un mutamento culturale forte e compatto contro il neoliberismo potrà tirarci fuori da questa situazione aberrante.
E quando mi si obbietterà che rinunciando avremo di meno, risponderò che a volte di meno significa di più.
Cosa potremmo dimenticarci di più importante di un figlio che ci costringa finalmente a riflettere?
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