Sul finire dell’anno emerge con chiarezza l’esistenza di un dispositivo progettato per esplodere nel corso del 2019: i dinamitardi si trovano Oltreoceano, il luogo dell’attentato sarà l’Europa continentale, le ripercussioni politiche-finanziarie saranno globali. La prima parte del dispositivo è costituita dalla progressiva restrizione monetaria della FED che, drenando liquidità, prepara il crollo delle piazze finanziarie; la seconda parte del dispositivo è stata assemblata installando ai vertici della terza economia europea, nuovamente vicina alla recessione, un governo “populista” deciso a infrangere a qualsiasi costo le regole europee; la terza parte sarà quasi certamente costituita dalla “hard Brexit” che, innescando il collasso della UE, travolgerà i membri più deboli dell’eurozona.
Un dispositivo pronto a esplodere
Le crisi finanziarie, partendo dalla bancarotta di re Carlo I e di Luigi XVI, che innescarono rispettivamente la rivoluzione inglese e quella francese, sono spesso studiate a tavolino e perseguono precisi obiettivi geopolitici. Sul finire del 2018, ci sono ammassati una quantità di indizi sufficienti per asserire che una grande crisi finanziaria è ormai imminente ed avrà ripercussioni che peseranno sull’intero XXI secolo. L’obiettivo della crisi è, come sempre, difendere la supremazia dell’establishment angloamericano sul sistema internazionale (la supremazia del Mare sulla Terra, in termini geopolitici), sconquassando l’Europa Continentale, rallentando la sua uscita dalla sfera d’influenza atlantica, disseminando caos politico ed economico a scala globale.
Si tratta di un dispositivo piuttosto semplice, che presenta forti analogie con quello adottato dall’establishment angloamericano nel 1929.
La prima parte del dispositivo è stata posta con l’uscita di scena di Janet Yellen e l’avvento alla presidenza della Federal Reserve, nel febbraio 2018, di Jerome Powell, con un passato alla potentissima banca d’affari Dillon, Read & Co.: il neo-governatore della Riserva Federale ha accelerato il rialzo dei tassi, portati allo zero nel lontano dicembre 2008, risaliti sopra l’1% nell’estate 2017 e, attualmente, sopra il 2%. Si tratta di un tasso di sconto, come è visibile dal grafico sottostante, storicamente basso, ma vertiginoso rispetto allo 0% applicato nell’ultimo decennio. Come è notabile nel secondo grafico, la base monetaria degli USA è letteralmente esplosa dal 2008, inondando il mondo di biglietti verdi. Azioni, obbligazioni, derivati, valute straniere sono state artificialmente gonfiate dal denaro a costo zero, creando una bolla speculativa pronta ad esplodere all’occorrenza. Come nel 1929, è però interesse degli angloamericani che lo scoppio della suddetta bolla, innescato dal rialzo del costo del denaro, non abbia gli effetti più devastanti in patria, bensì all’estero. Nella fattispecie, si è lavorato perché l’epicentro della prossima crisi sia l’Europa continentale.
Passiamo così alla seconda parte del dispositivo, di cui abbiamo parlato nel nostro ultimo articolo. La banca d’affari Goldman Sachs (la stessa che ha “inventato” Donald Trump, colonizzando poi la nuova amministrazione), nella persona di Steve Bannon e dell’ambasciatore Lewis Eisenberg, ha collocato ai vertici della terza economia dell’eurozona, un governo integralmente “populista”, creato assemblando il Movimento 5 Stelle alla Lega Nord. Il tempismo dell’operazione è perfetto, perché l’Italia imbocca la deriva populista proprio nel momento in cui il quadro monetario si complica (la sullodata stretta monetaria della FED e la progressiva restrizione dell’allentamento monetario da parte della BCE) e quello economico si deteriora: la crescita dell’eurozona è al minimo degli ultimi quattro anni1 e l’Italia si dirige, con altissime probabilità, verso una nuova recessione. Nel momento finanziario-economico più complesso dell’ultimo decennio, l’Italia si trova quindi impegnata in un braccio di ferro con Bruxelles senza sbocchi, completamente isolata dal resto dell’Europa (i populisti del centro-nord sono i più fieri oppositori della manovra fiscale italiana), bersagliata dalla agenzie di rating, che dosano i declassamenti del debito pubblico italiano con strategica metodicità. L’Italia è, insomma, una bomba collocata nel lato meridionale dell’Europa, in attesa di esplodere: la prossima crisi finanziaria, le cui basi sono state gettate dalla politica monetaria a tassi zero della FED, si abbatterà così su Wall Street, come a Londra e Shanghai, ma sarà, prima di tutto, una crisi italiana ed europea.
Si tratta della stessa Europa che, sotto la guida (franco)tedesca, sta cercando di liberarsi progressivamente dalla tutela angloamericana, mettendo così a repentaglio l’egemonia dell’establishment atlantico e scatenando le ire della Washington “populista”. Si noti che il tentativo (franco)tedesco di liberarsi dalla tutela angloamericana è, ovviamente, ben visto ed incentivato da Mosca, come esplicitamente affermato da Vladimir Putin a proposito del progetto per un esercito europeo2.
Il dispositivo così assemblato (rialzo dei tassi, sommato ad un governo populista in Italia) sarebbe già sufficiente per scardinare l’eurozona e l’Unione Europea: non servirebbe però ancora un detonatore? Un innesco che faccia esplodere l’ordigno, ossia l’Italia, in ultima analisi? La definizione establishment “angloamericano” non è certo casuale, perché si compone della componente inglese e di quella statunitense: Londra si prepara a dare il proprio importante contributo alla riuscita del piano aggiungendo a questo quadro politico-economico, già fosco di suo, un ormai probabile divorzio dalla UE senza alcun accordo, il cosiddetto “hard Brexit”, con le conseguenti drammatiche ricadute finanziarie (“No-deal Brexit could lead to financial crisis as bad as 2008, warns Bank of England chief Mark Carney”3).
Seguendo la politica inglese, si ha la chiara impressione che l’intero establishment inglese, apparentemente diviso tra laburisti e conservatori, euroscettici ed europeisti, stia lavorando per una clamorosa rottura non consensuale con Bruxelles. Difficilmente il Parlamento inglese approverà l’accordo raggiunto da Theresa May con l’Unione Europea (l’intesa che si va delineando è ormai definita dalla maggior parte dei politici inglesi come “vassalage”4), spianando così la strada, entro il marzo 2019, alla “hard Brexit”. Dall’Inghilterra l’incendio si propagherebbe immediatamente all’Italia, infliggendo alla penisola danni persino maggiori a quelli che dovrà affrontare l’Inghilterra: “Venerdì nero in Borsa, in fumo 411 miliardi dopo Brexit. Per Milano la peggiore seduta di sempre” titolava il Sole 24 Ore, il 24 giugno 20165, dopo l’esito del referendum inglese sulla permanenza nella UE.
All’orizzonte si profila quindi una crisi finanziaria con ricadute globali che, architettata a Londra e New York, avrà il proprio epicentro sull’Europa continentale e, in particolare, in Italia. Una figura di primo piano dell’élite angloamericana, il barone James O’Neill of Gatley, già presidente di Goldman Sachs e ora ai vertici dell’influente Chatham House6, si è posto di recente il quesito retorico: “Will Italy sink Europe?7” A Londra, sanno già la risposta.
1https://www.theguardian.com/business/live/2018/oct/30/eurozone-gdp-french-italy-growth-economy-markets-business-live
2https://www.rt.com/news/443677-putin-macron-army-europe-trump/
3https://www.independent.co.uk/news/uk/politics/no-deal-brexit-bank-of-england-mark-carney-house-prices-a8536931.html
4https://www.theguardian.com/politics/2018/nov/10/jo-johnson-brexit-campaign-made-fantasy-promises
5https://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2016-06-24/shock-brexit-mercati-milano-4percento-trattano-solo-pochi-titoli-083115.shtml?uuid=ADC5qIi
6https://www.chathamhouse.org/news/2018-04-19-jim-o-neill-elected-new-chair-chatham-house
7https://www.fnlondon.com/articles/jim-oneill-will-italy-sink-europe-20181018
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