Si sente spesso dire che le città italiane sono sporche, letteralmente invase dall’immondizia. È una percezione che non sempre trova riscontro nei dati, ma che denota un fenomeno che si ripercuote a più livelli. Del resto, se è vero che i centri abitati non sono esempi virtuosi di pulizia, i problemi più grandi risiedono al di fuori di essi: nelle aree naturali (utilizzate come veri e propri cassonetti a cielo aperto) e nelle discariche (abusive o meno che siano). I roghi di rifiuti sono divenuti una drammatica costante del nostro paese, tanto da essere finalmente oggetto di attenzione del governo, che da qualche giorno ha presentato a Caserta il suo piano d’azione per affrontare l’emergenza. Nella volontà di fare della Campania il primo laboratorio di tutela ambientale del paese, si prevede l’impiego diretto dei militari nei pressi delle strutture di smaltimento più vulnerabili e il rafforzamento delle indagini attorno ai relativi casi.
L’istituzione di un piano del genere è un’importante norma a difesa del territorio, dei cittadini e della legalità. Eppure, non basta, a fronte di un problema più radicale e radicato. I roghi illegali sono la forma, certamente più deprecabile, di una generale debolezza del sistema nello smaltimento dei rifiuti. Di fatto, l’Italia sembra svegliarsi oggi, dinnanzi ad una situazione critica che si sarebbe potuta evitare (o perlomeno attenuare) con la dovuta programmazione. Il dibattito interno al governo di questi giorni ci fa capire l’arretratezza (di tempi e mezzi) di cui si sta parlando: da un lato, quello leghista, la totale fiducia negli inceneritori (e nei loro cugini più evoluti, i termovalorizzatori); dall’altro, quello pentastellato, il rifiuto assoluto di questi complessi definiti vintage. Lo scontro denota posizioni ideologiche che, condivisibili o criticabili che siano, hanno lo stesso difetto: non sono in grado di rispondere alle problematiche attuali, almeno non se prese in maniera monolitica.
L’impossibilità di questa traduzione dal teorico al pratico deriva da considerazioni empiriche. Se seguissimo unicamente la linea Di Maio, quella che evoca (giustamente!) la necessità di insistere sul rafforzamento di un circolo virtuoso dei rifiuti, ponendo l’accento sui processi di riduzione, riutilizzo e riciclo, ci troveremmo a sbattere contro un muro, costituito da tutti i limiti e i risvolti paradossali di questo processo, come evidenziato da Il Sole 24 Ore in un articolo del 15 ottobre:
Le quantità di materiali da riciclare aumentano di giorno in giorno e ormai per molti settori l’offerta di materiali supera la domanda dell’industria; le vetrerie respingono i camion carichi di vetro usato, le cartiere rimandano indietro i carichi. I materiali selezionati da aziende e cittadini si accumulano. Basta una scintilla occasionale per scatenare incendi di grandi dimensioni, e si crea spazio alla malavita che offre soluzioni di comodo.
Di fatto, nel disegno virtuoso, un numero contenuto di termovalorizzatori risulterebbe necessario, per far fronte all’immensa quantità di rifiuti che la società produce. Ma, anche in questo caso, emergono delle profonde contraddizioni. Innanzitutto, i vari tipi di inceneritori sono pochi, piccoli e mal disposti sul territorio nazionale, tanto che dei circa quaranta impianti, quasi trenta sono al nord, di cui tredici in Lombardia. In più, costruire un inceneritore non è un affare da poco (si parla di anni) e, dinnanzi alle legittime proteste locali (perché comunque queste strutture non sono esenti da rischi per i cittadini e la terra), la tendenza attuale più che di aprirne di nuovi, è di chiudere quelli esistenti. Così facendo, però, non si fa altro che rafforzare il problema su scala nazionale, con continui rimandi di responsabilità, risolvibile solamente attraverso un lavoro di collaborazione e sintesi politica.
Nella speranza che la svolta di Caserta possa rappresentare il punto di partenza per una nuova politica di gestione dei rifiuti, è evidente come quest’emergenza abbia radici profonde: dai limiti strutturali del sistema produttivo, alla miopia amministrativa degli scorsi decenni, fino alla mentalità per troppo tempo condivisa, e che ancora oggi sopravvive, del non faccio la raccolta differenziata, tanto poi buttano tutto assieme. Produttivismo sfrenato, illegalità e inciviltà sono i tre cardini di un circolo vizioso da debellare prima di trovarsi ricoperti dalle sue conseguenze.