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giovedì 8 novembre 2018

Il nuovo che arretra

Ve lo ricordate "il nuovo che avanza" dei tempi di tangentopoli? In Italia quel nuovo che avanzava venne descritto come un ricambio di classi dirigenti: finalmente si svecchiava la politica e arrivavano nuovi protagonisti! Naturalmente di SME, divorzio Tesoro-BdI, incontro sul Britannia non si parlava. Ma anche queste, in fondo, erano pinzellacchere, perché la realtà effettiva era che un nuovo impero si affacciava alla storia: l'impero americano.

E' durata poco, all'incirca un ventennio. Troppo pochi 325 mln di americani per controllare un mondo popolato da sette miliardi di esseri umani. Non c'erano abbastanza scarponi sul terreno - not enough boots on the ground - anche se, per un po', si sperò di rimediare con l'alta tecnologia: missili intelligenti, super soldati equipaggiati con tutte le diavolerie, satelliti, insomma guerre stellari. Ma la tecnologia, che va bene per le armi di distruzione di massa - quelle vere non i giocattoli di un Saddam o un Gheddafi - non è sufficiente quando devi combattere guerre il cui scopo non è l'annichilimento del nemico, bensì la conquista dell'egemonia sul terreno. Allora ci vogliono tanti, ma veramente tanti boots on the ground. E così il tentativo unipolare americano è fallito, sostituito da un obiettivo più ragionevole: America first. Che non è poco, ma almeno non è una follia assoluta.

Ma che succede al "nuovo che avanza" quando la potenza imperiale, sulle cui gambe si muoveva, declina? Diventa "il nuovo che arretra". Elementare Watson, così elementare che quasi mi vergogno a dire simili banalità. Perdonatemi, in fondo ci spendo poco più di due minuti.

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