Il Global Solutions Summit di Berlino fissa l’agenda globalista
Edoardo Laudisi
Se è vero che i luoghi hanno un’anima, come sostiene il filosofo James Hillman nel suo libro “L’anima dei Luoghi”, allora ogni luogo diventa il simbolo di un’intenzione inconscia. Di una volontà inconfessata perché inconfessabile. Seguendo la traccia di Hillman, viene da chiedersi come mai il “Global Solutions Summit” di Berlino, il summit dedicato alle organizzazioni internazionali, governative e non, per discutere di globalizzazione in vista del vertice giapponese dei G20 del prossimo maggio, si sia tenuto il 17 e il 18 marzo nel vecchio edificio del Consiglio di Stato dell’ex DDR, presso la Schlossplatz 1. Se i luoghi hanno veramente un’anima non c’è scelta più infausta che discutere di globalizzazione in un edificio simbolo della fallita internazionale comunista. Una scelta che suona come una confessione accompagnata dal rintocco delle campane a morto.
I main topics del “Global Solutions Summit” erano: 1) Sviluppo sostenibile e assistenza sanitaria universale; 2) Architettura di finanza internazionale per garantire stabilità e sviluppo economico planetario; 3) Climate Change(special guest: bimba Greta da Stoccolma); 4) Cooperazione con l’Africa; 5) Coesione sociale, governance globale e politiche future; 6) Gender equality; 7) Impatto economico dell’invecchiamento della popolazione con un attenzione particolare alle le politiche di immigrazione come rimedio all’aging problem.
E come spesso accade nei regimi che fiutano la fine, si cade nella caricatura. Così Angela Merkel, nel suo discorso inaugurale che voleva essere epico, ma è stato solo epidittico, ha cantato le lodi di George W. Bush. Sì, proprio quel Bush iniziatore della guerra contro l’Iraq (do you remember Colin Powell, Onu 2003, il flaconcino di borotalco stretto tra indice e pollice, la voce profonda, ma poco convinta: this is anthrax), che è stata l’origine di gran parte degli orrori che oggi flagellano il Medioriente. Davanti al simposio globalista, Mutti Angela ha tessuto le lodi del distruttore del Medioriente, perché lui capiva di relazioni commerciali internazionali. Al contrario di The Donald che, invece, ha tre grosse pecche: crede nei dazi, fa i conti della serva per la Nato e, cosa forse ancora più imperdonabile, non ha ancora bombardato nessuno in nome della democrazia. Si fa prendere da tale entusiasmo malinconico la Cancelliera in disarmo che, come spesso accade ai potenti a fine corsa, finisce per diventare grottesca. E così l’atto fondativo della comunità democratica internazionale, l’Urerlebnis del multilateralismo moderno, diventa ai suoi occhi la grande crisi del 2007. Secondo Mutti fu proprio nei giorni cupi di quella crisi globale, quando i grandi della terra decisero di incontrarsi in una serie di summit che coinvolsero i ministri delle Finanze dei Paesi più potenti, nonché i capi di Stato, gli esperti delle organizzazioni internazionali e i dirigenti delle grosse aziende multinazionali, vale a dire coloro che avevano provocato la grande crisi, che il mondo fu salvato E tra i salvatori spiccava appunto George W. Bush, il distruttore dell’Iraq.
«Ricordo ancora quando telefonai al Presidente Bush», rammenta Angela. Roba da far impallidire il vecchio Presidente della Germania comunista Walter Ulbricht, quando lodò il capo supremo del comunismo sovietico Leonid Brèžnev per aver salvato il socialismo mandando i carri armati a Praga, nella primavera del 1968.
I mainstream media tedeschi hanno descritto l’evento secondo la dottrina medioevale-manichea oggi in vigore in questo Paese: da un parte la luce, vale a dire quelli che s’impegnano per le cause giuste, le cause degli interessi comuni, e che stanno sempre dalla parte politicamente corretta della storia (articolo del “Tagesspiegel” qui), dall’altra invece le tenebre dei cavalieri oscuri del sovranismo fascistoide.
Secondo questo prospetto morale, l’ex presidente degli Stati Uniti George Bush e l’apparato economico-finanziario internazionale, vale a dire coloro che hanno causato le peggiori crisi del dopoguerra, crisi nelle quali siamo ancora immersi fino al collo, ossia le guerre in Medioriente (con relativo flusso di profughi) e la grande crisi globale del 2008, sarebbero i salvatori del mondo. Basta questo per avere un’idea del cul-de-sac nel quale si è ficcato l’Occidente.
Che senso ha parlare di quote globali di CO2, ha commentato infine la Merkel toccando il tema caro a bimba Greta da Stoccolma, se poi i singoli Paesi possono vanificare i trattati? Ed in effetti la contrapposizione morale globalisti buoni vssovranisti cattivi serve proprio a lavorare su questo punto. Perché per quanto ci si dia da fare nei vertici G8, G20, Global Solution Summit, Imf, Wto, World Bank e in tutte le Ong di questo mondo, resta sempre l’ostacolo delle Costituzioni dei singoli Paesi sovrani. Costituzioni che iniziano più o meno tutte con un articolo simile che dice: la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. E dove si a
si apprende che il sovranismo non è una derivata del fascismo, ma un principio sancito dalla Costituzione antifascista, grazie al quale si sono potuti affermare i diritti fondamentali e con essi la civiltà.
A pensarci bene, per essere completa la lista dei main topics del Global Solutions Summit nell’ex Berlino Est avrebbe dovuto contenere un ultimo punto: 9) Come sbarazzarsi delle Costituzioni degli Stati sovrani che limitano la buona azione globalista.
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