fonte: https://www.maurizioblondet.it
Da pochi giorni Facebook ha annunciato che avvertirà gli utenti che leggeranno conti accusati (dalle agenzie di spionaggio USA) di diffondere “propaganda russa”, creando una lista di siti le cui fonti sono “critiche”. Twitter e Google (proprietaria di YouTube) hanno già fatto sapere che sosterranno forme di censura del web. L’amministratore delegato di Google, Eric Schmidt ha fatto sapere quali sono le fonti “critiche” e dubbie: ha annunciato che “declasserà” RT (Russia Today), Sputnik News, e “questo tipo di siti”, lasciando intendere che non ha di mira solo le fonti della Russia in inglese – temutissime – ma anche opposizioni politiche più in generale.
YouTube pratica ampiamente la censura ideologicamente motivata, sopprimendo, o impedendo di generare introiti pubblicitari, siti che a suo giudizio arbitrario cataloga come “estremisti”. Ne sa qualcosa ByoBlu, il sito di Carlo Messora con centomila contatti.
Ora, spero che il lettore cominci a capire a cosa mira strategicamente la attuale campagna sulle “fake news”: a ricostituire quella che Marco Carrai ha chiamato”l’informazione di un tempo”, che era “verticale , garantita da una auctoritas e divulgata solo dai quotidiani. Ad esempio, per le informazioni sull’economia l’Istat e la Banca centrale erano il riferimento autorevole”.
Adesso si sa che il progetto esplicito è di mettere fine alla “neutralità” del web, in questo modo: la maggior parte degli utenti saranno relegati ad un internet gratuito, che sarà lento e censurato; mentre la capacità di scambiare informazioni rapide e libere sarà riservata ai servizi a pagamento “premium” e alle imprese e privati che possono pagarseli.
E’ un progetto annunciato da Ajit Pai, l’uomo (di origine indiana) che Donald Trump ha messo a capo della Federal Commissione of Communications (FCC), un ente di Stato creato nel 134 da Roosewelt per controllare le trasmissioni radio. Repubblicano di fede, il PAj è stato anche amministratore delegato di Verizon, il colosso americano della banda larga (126 miliardi di dollari di fatturato, 162mila dipendenti), ossia uno di quei semi-monopoli privati che fortemente lamentano di non guadagnare abbastanza perché Internet è gratis. Quanto “fortemente”, lo dicono gli 11 milioni spesi nei primi tre mesi del 2017 dai tre oligopoli americani del web, appunto Verizon, AT&T e Comcast, per fare lobby presso i politici e legislatori statunitensi, sempre in crisi d’astinenza di denaro.
Fino al 2015, la FCC (fra l’altro obbligatavi da varie sentenze giudiziarie) s’è attenuta al principio che questi tre titani, che in Usa danno accesso ai fornitori di accessi Internet, ISP (Internet Server Providers), svolgono un pubblico servizio, con ciò che quel significa: è lo FCC (ossia lo Stato) a prescrivere le tariffe che i tre impongono agli ISP , a vegliarne sull’accesso aperto e libero, eccetera.
Non che la cosa sia sempre andata liscia: nel 2014, Netflix ha “accettato spontaneamente” (sic) di pagare una tariffa “di priorità” a Comcast e Verizon, dopo che queste – guarda caso- avevano ridotto del 30% la velocità di streaming di Netflix.
D’accordo, Neflix è una azienda a scopo di lucro, diffonde film e ci guadagna per abbonamenti. Ma ora i tre monopolisti stanno guardando agli altri fornitori da costringere a spontanei accordi di esborso. Hanno ben presente che oltre la metà degli americani, nella zona dove abitano, ha solo un possibile fornitore del servizio a banda larga (i più consultano il web per scaricare film e puntate e non informarsi), e la maggioranza non ha che due. Come sempre, diceva Marx, il capitalismo terminale sbocca in monopoli, e i monopoli hanno voglia e possibilità di estrarre più lucri dall’assenza di concorrenza. Fatto sta che adesso hanno al FCC uno di loro, Paj. La loro volontà di far rendere il web di più, facendone un mercato e imponendo prezzi diversi a chi li può pagare, incontra oggi il favore dei media cartacei e di quelli televisivi, a cui continua bruciare di aver perso il privilegio della “Informazione verticale” e “l’auctoritas garantita”, col potere di diffondere colossali fake news come: “E’ stato Bin Laden ad abbattere le Twin Towers”, “Saddam ha le armi di distruzione di massa”, ed oggi: “E’ stato Putin a far eleggere Trump”, “E’ l’Iran che crea il terrorismo islamico, mica Ryad”, “Assad ha gasato il suo popolo, la NATO intervenga” e via dicendo. Le ragioni dei media, e quelli del business, convergono ovviamente con l’interesse della superpotenza che diffonde queste colossali menzogne; ed è disturbato da siti – piccoli e gratuiti che forniscono informazioni libere e non quelle approvate dal superstato. Miliardi di persone nel mondo accedono oggi alle informazioni libere e le condividono. Scrive il World Socialist Website (un sito trotzkista americano, spesso fonte di ottime informazioni ed analisi critiche della politica USA) : “Le organizzazioni di opposizione e socialiste, escluse da decenni dal discorso pubblico per il monopolio di fatto esercitato da giornali e catene tv”, non trasmettono per scopo di lucro; non guadagnano, dovrebbero far pagare il loro accesso ai lettori?
“Le comunicazioni internet non sono un lusso ma un bisogno sociale vitale e vanno trattate come un servizio pubblico. Ma in una situazione in cui tre miliardari accaparrano tanta ricchezza quanto la metà della popolazione americana, e dove tutta la vita sociale ed economica è controllata da un numero ogni giorno più piccolo di imprese onnipotenti, la fornitura di diritti sociali, anche delle necessità più elementari” diventano un mercato a pagamento. Fra “la rivendicazione dei diritti sociali più elementari è la libertà di parola e di stampa: ed entra in conflitto con il sistema capitalista”.
Inutile dire che le nuove norme americane avranno una influenza diretta sui siti europei alternativi, che raccolgono ampiamente informazioni da siti Usa, oggi gratuiti, come Zero Hedge, Globalresearch, WhatreallyHappened….
Notiamo questo. Se una società plutocratica ha trovato “il mercato” come metodo di soppressione della libertà, in Europa, i poteri sembrano preferire la repressione penale, giudiziaria. Si veda qui:
Laura Boldrini chiede 250 mila euro alla ‘Gazzetta di Lucca’
Imola Oggi, lunedì, 27, novembre, 2017
“Laura Boldrini, presidente della Camera e terza carica dello Stato, ha esercitato un’azione civile di risarcimento danni in sede civile e querelato in sede penale, per il reato di diffamazione, Aldo Grandi, direttore delle Gazzette, chiedendogli, a tale titolo, 250 mila euro.
“La parlamentare, ritenendosi diffamata da un articolo apparso nel mese di luglio di quest’anno sulla Gazzetta di Lucca, in un editoriale a firma Aldo Grandi, ha avanzato, come richiesto dalla legge, una richiesta di mediazione per la causa civile, avvalendosi dell’assistenza legale dell’avvocato Caterina Flick del foro di Roma.
“Una somma spropositata che non ha alcuna corrispondenza con la realtà” – ha commentato il direttore Aldo Grandi il quale aveva duramente stigmatizzato, nel suo articolo, l’operato della Presidente Boldrini in materia di politiche di accoglienza indiscriminata che ledono, a suo dire, la identità nazionale degli Italiani e formulato decise espressioni di protesta, nell’ambito dell’esercizio di un legittimo diritto di critica politica, per il quale la stessa Corte Suprema ha, da sempre, riconosciuto che possa anche essere sostenuta a tinte forti e con termini anche crudi”,
In un caso e nell’altro, è l’oligarchia ricca dei privilegiati che depreda gli oppositori poveri, riducendoli alla fame.
Nessun commento:
Posta un commento