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martedì 2 luglio 2019

Le multinazionali del petrolio investono miliardi per far finta di vestirsi di verde

Quando ci si trova di fronte ad un problema insormontabile, le uniche alternative sono quelle di arrendersi all’evidenza o tentare di cavalcarlo trasformandolo in un’opportunità.

Le multinazionali del petrolio, per nulla intenzionate a estinguersi in un futuro dove l’inquinamento e i cambiamenti climatici promettono di farla da padrone e i combustibili fossili siedono in prima fila al banco degli imputati, hanno senza dubbio realizzato come l’unica scelta fattibile fosse la seconda e occorresse attivarsi in fretta per perseguirla. 

Così, accanto agli sforzi ciclopici profusi nell’intento d’influenzare l’agenda politica mondiale...affinché ogni progetto che potesse ledere i loro interessi restasse impaludato nelle sabbie mobili della burocrazia e le controversie all’interno del mondo scientifico venissero esacerbate, producendo un immobilismo che potesse giocare a loro favore, hanno pensato bene di proporsi in prima persona come improbabili attori di una “rivoluzione verde” che per forza di cose non potrà mai essere nelle loro corde.

Molto spesso infatti, in TV e sui giornali, capita d’imbattersi in spot entusiastici, dove proprio le multinazionali che da sempre avvelenano il pianeta si presentano come anime candide intrise di sincero spirito ecologista, che si spendono con tutte le proprie forze nella creazione di un futuro dove l’attenzione per l’ambiente e le problematiche della biosfera venga anteposta alla logica del profitto, nel bene dell’interesse collettivo. Un’illusione naturalmente, disancorata dalla realtà e per molti versi simile a una fantasia onirica, ma un’illusione creata ad arte e imposta scientemente all’opinione pubblica per mezzo di campagne stampa pagate centinaia di milioni di dollari.


Secondo il rapporto “Big Oil’s Real Agenda on Climate Change” pubblicato da Influencemap, dopo l’accordo sul clima di Parigi del 2015, le cinque più grandi multinazionali impegnate nell’estrazione petrolifera e del gas naturale hanno infatti investito oltre un miliardo di dollari in operazioni di lobbying, volte da una parte a ostacolare e ritardare le nuove politiche vincolanti a protezione del clima e dall’altra ad attuare pesanti campagne di greenwashing, nel tentativo di dipingere di “verde” il proprio operato.


ExxonMobil, Royal Dutch Shell, Chevron, BP e Total hanno investito e stanno investendo ingenti risorse nell’ordine di centinaia di milioni di dollari per coinvolgere uomini politici, scienziati e influencer di varia natura, in una campagna che sia in grado di orientare l’opinione pubblica a loro favore, dissimulando i rischi connessi ai cambiamenti climatici e sminuendo il ruolo dei combustibili fossili nell’ambito della crisi climatica globale. «I cambiamenti climatici non sono in fondo realmente quel pericolo drammatico che molti dipingono e in ogni caso i combustibili fossili non ne sono responsabili», deve essere il messaggio veicolato affinché si radichi nell’immaginario collettivo.

E hanno speso altre centinaia di milioni di dollari nella creazione di campagne pubblicitarie volte a dipingerle come soggetti virtuosi che si prodigano nell’azione contro i cambiamenti climatici, per la costruzione di un futuro più verde e attento al rispetto dell’ambiente, molto spesso millantando grandi investimenti in nuovi progetti che garantiscano basse emissioni di carbonio. O pubblicizzando ad arte i propri investimenti nel campo delle energie rinnovabili, spesso realizzati con l’unico scopo di presentarsi presso l’opinione pubblica come soggetti attenti all’ambiente mentre nella realtà dei fatti non lo sono per nulla. «Nella lotta per preservare l’ambiente noi siamo dalla vostra stessa parte della barricata», è in questo caso l’input attraverso il quale contaminare l’opinione pubblica.

In realtà analizzando le spese in conto capitale per l’anno 2019 delle cinque multinazionali in oggetto si può constatare come gli investimenti in tecnologie a bassa emissione di carbonio costituiscano solamente il 3% del totale, a dimostrazione di come il loro operato resti anche in propensione futura orientato quasi esclusivamente nell’estrazione di petrolio carbone e gas naturale.
Tutto ciò mentre attualmente nel mondo l’85% dell’intera energia prodotta deriva ancora dai combustibili fossili e restano attive ben 8mila centrali a carbone, solamente per citare la fonte fossile in assoluto più inquinante. Oltre 7 milioni di persone muoiono, soprattutto nei Paesi più poveri, ogni anno a causa dell’inquinamento del quale proprio le fonti energetiche fossili sono le maggiori responsabili. Nel 70% delle città per cui sono disponibili i dati i livelli d’inquinamento da polveri sottili superano le linee guida dettate dall’OMS.

I grandi colossi bancari, da JP Morgan fino all’italiana Unicredit, continuano a finanziare con decine e decine di miliardi di dollari i progetti di estrazione petrolifera, soprattutto nell’ambito delle sabbie bituminose, delle ricerche nei fondali oceanici e dell’estrazione di carbone. A questo riguardo va sottolineato come proprio l’estrazione di petrolio dalle sabbie bituminose (che in alcune campagne stampa è stata definito “etica”), comporta fino a cinque volte più emissioni rispetto all’estrazione di petrolio tradizionale, lasciando solo un deserto punteggiato di laghi tossici laddove sorgeva la foresta boreale e risulta fra i principali imputati nell’impennata del 30% dei casi di tumore registrata fra la popolazione umana e animale residente nelle zone oggetto dell’estrazione.

Insomma è sufficiente grattare leggermente con le unghie il sottile strato di vernice verde, perché affiorino i “mostri” che abbiamo sempre conosciuto, totalmente insensibili rispetto a qualsiasi problematica ambientale e unicamente interessati alla tutela dei propri profitti, anche qualora essi vengano costruiti sulle spalle di un pianeta in agonia e del tentativo disperato di salvarlo.


Marco Cedolin
Fonte Dolcecitaonline

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