E anche oggi abbiamo ricevuto in dono la nostra petulante dose quotidiana di femminismo subdolo. Ursula Von der Leyen e Christine Lagarde. Così si è inaugurata la nuova formazione delle istituzioni europee, all’indomani delle nomine. Esultano le fanatiche delle quote rosa, assieme a chi ha ben pensato, da stratega, di addolcire l’immagine ferrea dell’austerity tramite l’uso del “gentil” sesso, complice anche il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Perché si sa, donna è meglio. Ministra, Presidenta, Direttora, non siamo pronti alla moltiplicazione di questa prassi linguistica anche a livello europeo. È una fortuna che BCE e Commissione Europea siano già parole al femminile, altrimenti avrebbero trasformato anche queste. Ed effettivamente, nella pratica, queste istituzioni sono un ulteriore esempio che non tutto ciò che è al femminile sia ottimale.
Ma non si osi nemmeno nominare modelli nefasti di governance rosa quali Merkel, Tatcher, Clinton e compagnia bella. L’assioma rimane immutato: donna è meglio di uomo. Sempre.
E “donna, ricca e tedesca” sia. Non è Carola Rackete, bensì il nuovo Presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, fedelissima di Angela Merkel (altro esempio di donna benefattrice e governatrice abilissima) dai gusti federalisti, perciò favorevole a ulteriori cessioni di sovranità da parte degli stati, ha ricoperto in Germania prima il ruolo di Ministro del Lavoro e degli Affari sociali, da ultimo il Ministro della Difesa, non senza problemi di varia natura.
Infine un altro nome di donna ben più celebre al vertice della Banca Centrale Europea: Christine Lagarde, al posto di Mario Draghi. Già Ministro dell’Economia in Francia fino al 2011, dallo stesso anno è Direttore Operativo del Fondo Monetario Internazionale, che dall’alto della sua posizione “filantropica” verso i paesi in crisi economica non ha mancato di bacchettare ripetutamente l’Italia sul rispetto delle norme europee più restrittive e sulla necessità di fare le riforme, avvicinandoci lo spettro della crisi greca, come termine di paragone, così magnanimamente risolta dal FMI. È sotto la sua direzione che la Grecia ha infatti affrontato il suo cammino più duro di redenzione economica, dovendo restituire, in cambio di lauti prestiti monetari in tranches, terminati nell’agosto del 2018, privatizzazioni di asset statali a man bassa e riforme strutturali (un modo carino per indicare un pacchetto di austerity tutto incluso, andata senza ritorno, fatto di tagli alla spesa pubblica tra pensioni, sanità, istruzione e al resto dei servizi). Il Fondo funziona, sinteticamente, in questa maniera: più ti fai aiutare, più politiche correttive vincolanti dovrai auto-importi come garanzia di quel prestito; lo stesso principio fondativo e modus operandi di MES e fondi europei vari.
La Lagarde, per il ruolo che ha ricoperto in questi anni, rende evidente quanto sia tutto fuorché uno zuccherino di donna, a capo di un’organizzazione internazionale ben lontana dall’idea di fondo di cooperazione umanitaria tra stati immaginata da Keynes al momento dell’istituzione ai tavoli di Bretton Woods, tant’è che all’economista non fu difficile comprendere dove stazionasse l’ombelico del potere economico sullo scacchiere globale e dove avesse intenzione di rimanere.
Siamo di fronte ad un quadro di nomine rigoriste in piena continuità con quelle che abbiamo abbandonato la scorsa legislatura, le quali stupiranno poco chi non ha mai creduto in alcuna possibilità di riforma delle istituzioni europee e del loro indirizzo politico-economico. Tuttavia potrebbero paradossalmente trasformarsi in un’occasione d’oro per metterlo in luce laddove ancora si creda (e certamente questo governo lo ha detto più volte) che l’Europa si possa cambiare dall’interno, il che, se non tramite una tabula rasa di norme e politici, è pressoché impossibile. Queste elezioni europee saranno servite a rafforzare la Lega sul piano interno, mentre in Europa, al leghista cui verrà assegnato il ruolo di Commissario per la Concorrenza (a detta di Conte), non resterà che fare da contrappunto alla sua immutabile essenza di rigore e politiche procicliche. Di fatto queste stesse istituzioni, autonomamente, si rendono odiabili negli atti e nei personaggi. Il ruolo ricoperto fin’ora dalla Vestager potrebbe essere utile nell’ambito delle decisioni sugli aiuti di stato, che competono a tale commissariato, attraverso il quale si potrebbero allargare le maglie della flessibilità (di aiuti di stato ne ha beneficiato la Germania soprattutto) e ridiscuterne i parametri. Sicuramente una magra consolazione.
Insomma, dopo aver appurato chi siano queste signore, la magia da Stil Novo trecentesco del mondo governato da donne-angelo dove non esiste più la guerra perché ad esser guerrafondai sono solo ed esclusivamente gli uomini cattivi e tutti prosperano in felicità se la berrà ancora qualcuno? Anche no. E i fatti continueranno a dimostrarlo.
Comunque vada: lotta all’austerità, anche al femminile.