Addio Ferragni & Co. Gli influencers del futuro saranno virtuali
Autore Perucchietti Enrica
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| Lil Miquela: una influencer… virtuale | “Sei reale?” le chiedevano sempre più spesso i suoi followers. Corpo perfetto, occhi grandi e labbra carnose, la diciannovenne Lil Miquela sembrava troppo bella per essere vera. Il mistero aleggiava sulla modella e influencer da diversi mesi. Da quando, nell’aprile 2016 aveva iniziato a essere attiva su Instagram […]
| LIL MIQUELA: UNA INFLUENCER… VIRTUALE |
IL MISTERO ALEGGIAVA SULLA MODELLA E INFLUENCER DA DIVERSI MESI. DA QUANDO, NELL’APRILE 2016 AVEVA INIZIATO A ESSERE ATTIVA SU INSTAGRAM (https://www.instagram.com/lilmiquela/?hl=it) postando con regolarità contenuti tipici di una ragazza della sua età e arrivando ad avere ben 1,6 milioni di seguaci. La sua vita era quella tipica di una it girl dell’era social, ma la somiglianza del volto di Miquela con un personaggio del videogioco “The Sims” facevano dubitare molti che potesse essere reale.
Per diversi mesi, però, aveva lasciato intendere che fosse una modella in carne e ossa. A interrogarsi sulla sua reale identità era stato persino il Washington Post che nel 2017 aveva provato a intervistare lei e i suoi amici. Inutilmente. La modella aveva spiegato di non voler rilasciare interviste.
A venire a capo dell’enigma è stata un’altra influencer, Bermuda, che ne ha hackerato account instagram e si è rifiutata di restituirle l’accesso fino a che non avesse rivelato chi fosse davvero.
A questo punto Lil Miquela ha dovuto ammettere di essere un ologramma creato da un’azienda americana specializzata in robotica e intelligenza artificiale. Per lanciarla, i suoi creatori avevano ideato quetsa geniale trovata pubblicitaria che in breve ha creato un alone di mistero attorno a lei e milioni di seguaci.
Persino Bermuda, l’influencer che ne aveva violtato l’account, è a sua volta una influencer virtuale.
Sono fatte di pixel e sono state progettate, come tanti altri influencers e modelli per attirare potenziali acquirenti. Insomma, né Lil Miquela, né Bermuda esistono, ma hanno milioni di followers.
Non solo. Ogni mese, più di 80.000 persone ascoltano le canzoni di Lil Miquela su Spotify.
| Calvin Klein costretto a scusarsi |
Lil Miquela collabora anche con alcuni marchi di moda: ha lavorato come modella virtuale con Prada e il mese scorso con Calvin Klein (clicca qui per vedere il video).
Proprio la campagna pubblicitaria del celebre marchio per la campagna “My Calvins“ ha sollevato molte polemiche, mettendo in scena la modella in carne e ossa Gigi Hadid che bacia la collega virtuale Lil Miquela. Doveva essere un video originale volto a mostrare la sottile linea di separazione tra il mondo reale e l’immaginazione. La voce fuori campo della Hadid recita:
“La vita è aprire porte, creare nuovi sogni che non avresti mai pensato potessero esistere“.
Il bacio lesbo non è paciuto e il brand è stato accusato di fare “queer baitin”, ossia di usare scene omoerotiche per attirare clic e spettatori queer.
La trovata non è piaciuta ai movimenti LGBTQ: Bella Hadid è eterosessuale e si sarebbe potuto scegliere un testimonial che la affiancasse che non fosse irreale ma che supportasse la causa dei diritti delle minoranze.
| Addio influencer in carne e ossa |
Al di là della polemica che ha investito CK, il fenomeno degli influencers virtuali si fa sempre più consistente.
Pochi si sono interrogati sui possibili risvolti che questa rivoluzione virtuale avrà nel prossimo futuro
Iniziamo col dire che Chiara Ferragni e i colleghi influencers hanno i giorni contati.
Dopo le popstar virtuali come Hatsune Miku (l’ologramma giapponese messo a punto dall’azienda Crypton Future Media che è seguita da una folta schiera di fan e si esibisce da anni in concerti live), dopo i conduttori robot(in Giappone abbiamo Erica il primo androide pienamente autonomo, progettato dal professore Hiroshi Ishiguro, direttore del Laboratorio di intelligenza robotica all’Università di Osaka) e i conduttori ologramma (in Cina l’agenzia stampa statale cinese Xinhua, utilizza Zhang Zhao, un ologramma) ora spopolano le it girls virtuali.
Gli influencer virtuali hanno un vantaggio per le aziende che li usano: il loro mondo è meno regolamentato rispetto alla controparte umana e le persone che li controllano (o meglio che li programmano) non sono tenuti a rivelare la loro presenza.
I modelli e gli influencers virtuali, inoltre, sono sempre più ricercati dall’alta moda per sponsorizzare i propri prodotti: ne è la prova la top model virtuale di colore, Shudu Gram, creata dal fotografo di moda Cameron-James Wilson usando il software per la creazione di effetti speciali Daz 3D.
La top è già una star di Instagram con ben 73.000 follower e una serie di collaborazioni nate con diversi brand, tra cui Fenty Puma by Rihanna.
A quanto pare la richiesta di supermodelle digitali viene proprio dai brand più popolari ma questo successo pone diversi interrogativi, tra cui quello riguardo la credibilità che questi personaggi irreali offrono. Gli influencer virtuali sono ideati per vendere e attirare acquirenti: com’è possibile fidarsi della parola di qualcuno che non esiste e dunque che non può nemmeno indossare l’abito o le scarpe che pubblicizza? Esso rientra, cioè, nel campo della mera pubblicità.
Bisogna inoltre iniziare a comprendere che dare seguito a queste creazioni ci spinge verso uno sconfinamento del reale nel virtuale.
Siamo sull’orlo di una nuova trasformazione culturale e antropologica, una vera e propria rivoluzione che intende snaturare l’Uomo della e dalla propria umanità per renderlo sempre più simile a una “macchina”.Per farlo si stanno abituando le masse a “seguire” come modelli di riferimento delle entità irreali.
| Domani a chi toccherà essere soppiantato da una IA? |
Se magari non sentiremo la mancanza degli influencers in carne e ossa, forse dovremmo capire che verranno soppiantati presto anche altri lavori, persino nel campo artistico: conduttori televisivi, popstar, registi, montatori, attori, ecc.
Le IA e i robot possono lavorare 24 ore al giorno, sette giorni su sette, non si ammalano, non soffrono la stanchezza o la depressione, non hanno nemmeno bisogno della pausa pranzo. La robotica e la ricerca nel campo dell’Intelligenza Artificiale presto renderanno possibile la creazione di una generazione di macchine di algoritmi tanto intelligenti da poter sostituire non solo la manodopera pesante ma anche i colletti bianchi e gli “artisti”, dando vita a quel fenomeno che era già stato previsto da John Maynard Keynes: la “disoccupazione tecnologica”, ossia la perdita di lavoro dovuta al cambiamento tecnologico.
E pensate che stia esagerando, sappiat molti economisti hanno lanciato l’allarme sull’automazione e che persino Jack Ma, fondatore e principale azionista del sito di commercio on line Alibaba, in una intervista di quasi trenta minuti rilasciata a Cnbc ha denunciato il fatto che l’Intelligenza Artificiale è una “minaccia” per gli esseri umani e che presto i robot cancelleranno milioni di posti di lavoro, «perché in futuro queste mansioni verranno svolte dalle macchine».
Il lavoro prima è stato prima delocalizzato per abbassare i costi, trasferendo la produzione in Paesi emergenti, dove gli operai costano meno che da noi, poi come effetto collaterale della delocalizzazione i lavoratori immigrati sono arrivati da noi sperando di guadagnare di più. La miseria con cui venivano pagati gli immigrati è diventata poi il parametro cui adeguare la nostra paga, livellando così verso il basso tutti i salari. Il lavoro è diventato sempre più disumano e precario.
Ovviamente non è finita. Il passo successivo è la sostituzione dei lavoratori con i robot o con ologrammi e algoritmi, come denunciato dallo stesso Ma, che invita a «non competere con le macchine» ma a sviluppare ciò che i robot non possono ancora rubarci: la creatività e lo spirito di collaborazione.
Per evitare che lo sviluppo tecnologico ci schiacci è fondamentale mettere la tecnologia al servizio dell’uomo, invece che contro di esso, migliorando la vita di tutti puntando al benessere collettivo e non alla mera produttività e alla ricchezza di pochi. Pochi perché secondo le stime degli economisti, molti verranno soppiantati, “disboscati” dalle macchine.
Per evitare questa deriva, forse potremmo iniziare a preferire il mondo reale a quello virtuale.